«Come cittadini siamo direttamente interessati all’Unione europea e al bene comune, ma le prossime elezioni ci riguardano anche come credenti, specie nella nostra tradizione di cattolici democratici». Così Luigi D’Andrea, presidente del Meic che insieme a Azione Cattolica, Fuci, e Mieac l’ha organizzata, ha aperto una giornata di studi dal titolo «Cittadini e credenti nell’Europa che verrà» alla Lumsa a Roma, per ragionare di Unione europea a pochi mesi dal rinnovo del Parlamento europeo, in un anno significativo per il Continente, tra guerra e crisi economica.
Di fronte alla sfida del presente i limiti della Ue emergono con forza e occorre «superare il criterio di unanimità che blocca tutto e l’esiguità del bilancio europeo», ha spiegato D’Andrea, che prova a definire il tema del giorno: andare verso il federalismo europeo, attraversare quello che tutti ormai percepiscono come un guado in cui l’Ue non è ancora un soggetto politico autonomo, ma non è nemmeno più solo un accordo tra stati. È «l’Europa incompiuta» come la definisce il sociologo Mauro Magatti (Università Cattolica) che avverte, nella disillusione, «il sentimento prevalente oggi, perché viviamo il dramma della guerra in un continente che nasceva su un’idea di pace e per il dramma della logica dei muri con cui affrontiamo il tema migratorio».
Secondo il sociologo, «la legislatura che si è conclusa ha molti punti positivi, nella capacità che ha avuto di rispondere tempestivamente a molte emergenze, dalla pandemia alla guerra»; tuttavia «“la lentezza con cui stiamo discutendo il tema della difesa comune è problematica».
Magatti riconosce che l’obiezione tecnocratica degli antieuropeisti è fondata e con essa – pur da europeista convinto – bisogna discutere e dare risposte, ma che la risposta è un plus di politica e non di norme «Tutti siamo per la sostenibilità, ma la transizione ecologica è stata posta in modo tale che i costi sono a carico delle parti più deboli della società».
Il contributo delle religioni
Il convegno è proseguito sul tema del contributo religioso alla costruzione europea: monsignor Mariano Crociata, presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea, ha voluto ricordare le parole di Romano Guardini: «L’Europa, ciò che è, lo è attraverso Cristo […] Se l’Europa si staccasse totalmente da Cristo allora, e nella misura in cui questo avvenisse, cesserebbe di essere». Il vescovo ha quindi sottolineato la necessità che cultura ed ethos si poggino su una radice profonda per poter sopravvivere. Ne deriva da un lato oggi la difficoltà a dialogare con una Europa che non è più quella dei democristiani Schuman, De Gasperi e Monnet, ma anche a fare i conti con una secolarizzazione che indebolisce la base popolare delle Chiese tutte. «Non dimentichiamo che le fedi sono il retroterra plurisecolare da dove nascono i Paesi dell’Europa, il cristianesimo è un elemento fondamentale all’idea di un’unione dei Paesi europei – ha osservato Crociata -. Oggi ci troviamo immersi in un paradigma consumistico e tecnocratico che produce una riduzione privatistica di ogni istanza etica».
Fattori di divisione
Fa eco al presidente dei vescovi europei il professor Romano Prodi, che della Commissione europea è stato presidente, guardando ai fenomeni di stravolgimento della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta fino ad ora e all’allontanamento progressivo tra Stati Uniti e Europa. Prodi richiama alla responsabilità uno dei Paesi che maggiormente ha peso negli assetti dell’Unione: la Francia. Ma posizioni come quella sull’aborto in Costituzione, approvato pochi giorni fa, «non fa che allontanare la Francia, divide l’Europa», dice Prodi.
Eppure «Nell’ottica di una difesa comune e di un riequilibrio in seno alla Nato, la Ue dovrebbe parlare con una voce sola. Questo, però, può avvenire solo con l’aiuto della Francia, del suo arsenale nucleare e del suo seggio nel Consiglio di Sicurezza».
Cose che – di fatto – dovrebbe in qualche modo «mutualizzare», secondo il professore, per «permettere di far nascere una difesa comune e dunque anche una prospettiva unitaria in politica estera». Anche per riequilibrare le forze nel Patto Atlantico. «La Nato è un patto, non una obbedienza», ha ricordato Prodi, sottolineando che oggi la posizione dell’Europa è fin troppo subordinata ai desiderata di Washington. Infine, ha riconosciuto che è difficile fare diversamente finché si va in ordine sparso.