Arezzo torna a celebrare la Madonna del Conforto. Lo fa, come ogni anno, con una novena già iniziata il 6 febbraio scorso per prepararsi al giorno della grande festa del 15 febbraio, quando migliaia di fedeli affollano già dalle 6 del mattino e fino alla mezzanotte la Cattedrale aretina. Lo fanno non solo dalla città, ma da tutta la diocesi, e, negli ultimi anni, sempre più anche da oltre i canonici confini della Chiesa aretina-cortonese-biturgense. Un gesto, quello di mettersi in fila con ceri a candele e poi sostare in preghiera ai piedi dell’immaginetta di terracotta invetriata raffigurante la Madonna di Provenzano, che coinvolge un po’tutti. Anche coloro che in chiesa non ci entrano tanto di frequente.
Già da martedì 6 febbraio è iniziato dunque il percorso di preparazione, pensato, così come lo scorso anno, come dei grandi esercizi spirituali. Il predicatore è fra Valentino Ghiglia ofm. Culmine delle celebrazioni è la solennità del 15 febbraio. La Messa pontificale delle 10.30 è presieduta da monsignor Mario Delpini, arcivescovo metropolita di Milano, e viene concelebrata, oltre che dal vescovo diocesano Andrea Migliavacca, dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve, dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo metropolita di Firenze, da mons. Franco Agostinelli, emerito di Prato, Rodolfo Cetoloni, emerito di Grosseto, arcivescovo Riccardo Fontana, emerito di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Luciano Giovannetti, Emerito di Fiesole. Sarà presente anche il cardinale Ernst Simoni, della Diaconia di Santa Maria della Scala.
La manifestazione della Madonna, che portò agli aretini la grazia e il conforto della liberazione dal flagello del terremoto sotto cui giacevano da quindici anni, avvenne la sera del 15 febbraio 1796 nella cantina di un ospizio dei camaldolesi. Mentre tre artigiani, insieme con la cantiniera, pregavano genuflessi davanti a un’immaginetta di Maria, chiedendo la cessazione del terremoto, improvvisamente la videro diventare bianchissima e rilucente senza conservare traccia del nero fumo e dello sporco di cui si era ricoperta nel corso del tempo. Il vescovo Niccolò Marcacci riconobbe il prodigio consentendo il culto che divenne in breve una delle espressioni devozionali più intense della religiosità popolare.