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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Lettera aperta

Solidarietà e sostegno alle psicologhe di San Vittore

Di fronte al caso Pifferi, cappellani, terzo settore, avvocati difendono il lavoro delle due operatrici sanitarie che hanno chiesto una perizia psichiatrica per l’imputata e denunciano metodi da intimidazione

di Luisa BOVE

8 Febbraio 2024
Il carcere di San Vittore

Si è mosso un popolo in difesa delle due psicologhe di San Vittore, professioniste che da anni lavorano nel carcere milanese, per l’accusa mossa nei loro confronti di falso e favoreggiamento. Hanno solo svolto il loro lavoro chiedendo una perizia psichiatrica per l’imputata Alessia Pifferi che nel luglio 2022 ha lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi. Dal test cui è stata sottoposta la donna è risultato un basso quoziente di intelligenza, dato che dovrà essere preso in considerazione nel processo. Un risultato che ha portato alla denuncia delle due psicologhe, che avrebbero manipolato la Pifferi – questo l’attacco nei loro confronti -, come pure per l’avvocatessa Alessia Ponteani. A questo si aggiunge l’accusa di aver falsificato il diario clinico. Una vicenda che sta dividendo anche la Procura con un pm che ha rinunciato all’incarico.

Tali fatti hanno portato i cappellani di San Vittore, associazioni e cooperative sociali attive in ambito penitenziario, avvocati, ma anche don Virginio Colmegna, Casa della Carità, don Gino Rigoldi, Caritas ambrosiana, a scrivere una lettera aperta al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano Francesca Nanni e al Presidente del tribunale di sorveglianza Giovanna di Rosa, esprimendo «preoccupazione» per il procedimento in corso a carico delle due psicologhe.

In un momento in cui aumentano i suicidi nelle carceri, il disagio psichico e spesso anche la patologia psichiatrica è molto diffusa tra le persone detenute, la presenza e il lavoro prezioso che svolgono gli psicologi è assolutamente da riconoscere e favorire. Senza contare che, come ha dichiarato ieri il capo del Dap Giovanni Russo, sono troppo pochi gli psicologi che operano negli istituti di pena e ancora meno gli psichiatri.

«La perizia psichiatrica può essere richiesta dal giudice competente o dal difensore dell’imputato – si legge nella lettera aperta -, ma per molte ragioni questo non si verifica nella maggior parte dei casi. Chi invece è al corrente della salute mentale delle persone sottoposte a giudizio sono gli operatori penitenziari». Perché allora, si chiedono i firmatari, «penalizzare la condivisione di informazioni relative alla salute mentale delle persone detenute?».

«Infine – si legge ancora nella lettera aperta – ci preoccupa la modalità con cui si sono attuate le perquisizioni nei confronti delle due operatrici sanitarie. Perché coinvolgere in modo diretto le famiglie delle operatrici? Perché condurre e trattenere le operatrici in carcere per gli accertamenti sotto gli sguardi degli altri operatori e delle persone detenute». Una modalità di intervento che è suonata come una «intimidazione di tutti gli operatori» e che ora «rischia di intaccare la fiducia nel loro operato da parte delle persone detenute e dell’opinione pubblica».
Risultato: le due psicologhe si sono dimesse e gli avvocati penalisti, per solidarietà alla collega, minacciano uno sciopero.