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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Milano

Il clero si interroga: quali parole per la Parola?

La necessità di un linguaggio più vivace e meno convenzionale per la preghiera, la predicazione e la liturgia a tema nella giornata di aggiornamento promossa in Cattolica dalla Formazione permanente e da «La Rivista del Clero Italiano»

di Annamaria BRACCINI

5 Febbraio 2024

«Parole che danno vita. Parola cristiana e mondo della vita». È un tema impegnativo e importante quello scelto per la seconda edizione della Giornata formativa rivolta al clero, ma aperta anche a tutti «coloro che hanno a cuore la Chiesa e il Ministero». Nell’Aula Pio XI – degli Atti Accademici – dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sono tanti i sacerdoti – tra loro anche il Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti e alcuni Vicari episcopali -, riuniti per ascoltare i diversi interventi, affidati a volti noti e voci prestigiose: dal teologo monsignor Pierangelo Sequeri all’attore e autore Gioele Dix – moderati da don Paolo Alliata, responsabile dell’Apostolato biblico della Diocesi -, per arrivare, nella sessione pomeridiana, agli scrittori Daniele Mencarelli e Maria Pia Veladiano sul tema «Tempo e racconto. La letteratura come pensiero della vita» (modera Alessandro Zaccuri, giornalista, scrittore e direttore della Comunicazione dell’Università Cattolica). Poi, Bernardo Gianni e Francesco Stoppa con «La parola che guarisce. Terapia psicologica e accompagnamento spirituale», moderati da Aurelio Mottola.

Monsignor Valagussa e monsignor Sequeri

Insomma, uno sguardo a 360° sulla parola umana e la Parola con la “P” maiuscola, da rileggere con quella sollecitudine che si ritrova in tante pagine del cardinale Martini, come per esempio nella sua Lettera pastorale del 1982, In Principio la Parola. «A distanza di anni avvertiamo anche noi il bisogno di un rinnovamento del nostro modo di pensare, parlare e comunicare. Una necessità resa ancora più urgente da un contesto culturale e tecnologico che rende sempre più complessa la comunicazione tra persone e sembra svilire la parola in chiacchiere», osserva in apertura monsignor Ivano Valagussa, Vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, la cui Equipe ha promosso l’incontro unitamente all’Arcidiocesi, alla Rivista del Clero Italiano e alla Cattolica.     

«La stessa parola cristiana – ha proseguito Valagussa – così come cerchiamo di comunicarla, sembra non ricevere grande attenzione. A volte cade nell’indifferenza, a volte – come ha scritto l’arcivescovo Mario Delpini nella sua Proposta pastorale 2023-2024 – “può essere considerata come una sorta di stranezza d’altri tempi, può essere disprezzata come ridicola, può essere intesa come la pretesa di giudicare, come una invadenza fastidiosa”».

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Il compito dei cristiani

Ma proprio alla responsabilità di continuare ad annunciare la Parola e a dire parole che sappiano parlare al mondo, riconoscendo i “segni dei tempi” e interpretandoli con equilibrio e fuori dagli steccati, sono chiamati i cristiani: «Si tratta di mantenere l’impegno incessante di Dio con noi e della Chiesa che, nei suoi limiti storici, ha l’ambizione di essere significativa», ha detto, nella sua introduzione, il direttore della Rivista del Clero, don Giuliano Zanchi. «Nei luoghi della vita abbiamo l’impressione di parlare una sorta di dialetto, senza una lingua comune, specie per le parole cristiane che oggi sembrano più in difficoltà di altre. Essere significativi e autorevoli vuol dire tornare alle Scritture e farne la nostra lingua madre che ci apre orizzonti prima ancora di darci parole». 

Poi, l’appassionato intervento di monsignor Sequeri, teologo, musicologo e compositore italiano, già preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II, dedicato a «Il discorso autorevole. Dire con verità, parlare con persuasione»: «La parola ha la capacità di nutrire l’immaginazione teologica, perché va oltre la semplice descrizione. Occorre accettare di vigilare su due punti relativi alla persuasione: sul suo essere antidoto alla violenza, ma anche sul suo poter divenire una “perversione della persuasione”. Per questo l’antidoto è l’ironia», ha sottolineato Sequeri.

Quell’ironia affrontata da Gioele Dix: «L’ironia piace a Dio. Lui stesso ha probabilmente sorriso vedendo il risultato del suo lavoro, che siamo noi. Ci ha fatto imperfetti e proprio l’imperfezione è la prima benzina dell’ironia, perché se tutto andasse bene non ci sarebbe bisogno di ridere».

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