Le file di ragazzi che si allungano sul sagrato per poter entrare in Duomo, la consegna all’ingresso, con orgoglio, della foto del proprio oratorio nelle mani dei Vicari episcopali di Zona, l’allegria contagiosa all’interno della Cattedrale piena di luce e di gioventù, la gioia di ritrovarsi in migliaia per dire che la realtà degli oratori ambrosiani è più viva che mai.
La “Messa del centenario”
Tutto questo è stata la “Messa degli oratori” che, nel cuore della Settimana dell’educazione, ha visto tra le navate un’affluenza da record, con oltre cinquemila adolescenti e giovani, educatori e animatori, e 110 sacerdoti. Presieduta dall’Arcivescovo, concelebrata, tra gli altri, dai vescovi Giuseppe Vegezzi e Luca Raimondi, dai membri del Cem, dai presbiteri impegnati nei vari ambiti della Pastorale giovanile e nella Fom, con il direttore don Stefano Guidi, l’Eucaristia si è avviata dal saluto del vicario di Settore, monsignor Giuseppe Como che ha sottolineato l’importanza «di essere Chiesa attraverso l’oratorio, pur nelle diversità di esperienze e specificità di ciascuno». Un compito «non facile, ma da vivere con fiducia nello Spirito che aiuta a costruire l’unità nella diversità», per «essere appunto fiduciosi» usando le parole iniziali del vescovo Mario, «in questo nostro cammino, colpiti al cuore da un desiderio, da una speranza, da un’attesa, in una Chiesa dove ogni singolarità diventa un dono».
Dono palpabile che si rende evidente nella Messa quale testimonianza concreta della diocesanità su cui sta riflettendo e camminando la realtà degli oratori ambrosiani a cento anni da quel 15 gennaio 1924 quando, con un manoscritto telegrafico, l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi, esplicitava alla Fom di doversi occupare di tutti gli oratori della Diocesi che, in quel tempo, erano in rapida diffusione in tutto il territorio diocesano. Fom – acronimo della Fondazione degli Oratori Milanesi -, nata come Federazione degli Oratori Maschili per la sola città di Milano, già nel 1913, dando forma a un’attenzione del beato Andrea Carlo Ferrari (arcivescovo dal 1894 al 1921) che chiese ad ogni parrocchia di dotarsi dell’oratorio.
Insomma, un anniversario importante, festeggiato al meglio in Cattedrale con la “Messa del centenario”, arricchita dai canti e dall’animazione liturgica del numeroso coro proveniente da diverse realtà del decanato di Cernusco sul Naviglio, assemblatosi appositamente per l’occasione e preparatosi per mesi.
Si canta, certo, ma soprattutto si prega e si ascolta la riflessione dell’Arcivescovo a partire dalla pagina del Vangelo di Marco al capitolo 5, con l’episodio della figlia di Giairo creduta morta e alla quale il Signore dice: “Talità kum, Fanciulla, alzati”.
Una generazione stremata ma non morta
«Si può dire che anche oggi sono rimasti in pochi a credere che l’umanità viva e sia chiamata a nuova vita. Gli oratori e tutti quelli che si dedicano a proporre percorsi educativi devono reagire a un atteggiamento diffuso di rassegnazione. Molti infatti non fanno che piangere e lamentarsi: la gioventù è morta, questa generazione di ragazzi è perduta. Molti poi deridono la speranza. Gesù, invece, dice la verità: questa generazione di ragazzi e di ragazze non è morta, ma dorme».
Appunto come quella ragazzina dodicenne di duemila anni fa, immagine simbolica di una generazione, accompagnata dagli oratori verso il suo futuro, anche se «è un po’ intontita dal rumore e dalle provocazioni continue di chi vuole renderli consumatori di quello che è in vendita. È un po’ stremata dal fatto di dover fare tutto, di dover fare presto, di essere all’altezza delle prestazioni che i genitori e gli altri si attendono. È un po’ sequestrata dalla seduzione dei social e dalla paura che tanti seminano dappertutto».
Mi piacerebbe, spiega il vescovo Delpini, «essere un santo vescovo come il cardinale Tosi – oggi un po’ dimenticato, schiacciato tra le figure del predecessore, Achille Ratti, papa Pio XI e del successore, il beato cardinale Schuster – e orientare tutti gli oratori della Diocesi a una missione che chiede convinzione, condivisione, partecipazione al cammino diocesano. Per questo mi sono convinto a formulare un editto che definisce gli oratori milanesi in questo tempo e nel tempo che viene». Un editto composto di sette articoli, aggiunge.
L’“editto” per vivere l’oratorio di oggi e di domani
Anzitutto, l’oratorio fatto «dalla comunità degli adulti che hanno a cuore la trasmissione della fede, perché ci sia in ogni oratorio una comunità educante. Non solo un prete, non solo degli incaricati, non solo degli allenatori che si curano dello sport, dei baristi che si curano del bar, dei catechisti che si curano del catechismo, ma una comunità educante che condivide, nei diversi ambiti, la stessa passione, le stesse convinzioni e che ha in comune di andare a Messa la domenica e di amare il proprio oratorio».
Un oratorio, poi, aperto a tutti, «bambini, adolescenti, giovani, genitori, nonni. Cattolici, ortodossi, musulmani, indù e buddisti. Ragazzi, giovani e adulti di ogni provenienza a cui si domanda solo la buona educazione, il rispetto, la disponibilità a stare insieme», non chiedendo «prestazioni particolari, ma partecipazioni cordiali al gioco».
Un oratorio in cui «c’è la cappella, un luogo per pregare», perché «tutti sono invitati ad ascoltare il messaggio di Gesù, il Vangelo di Gesù, la proposta di vita di Gesù e tutti sono invitati ad ascoltare: perché senza la fiducia in Dio la vita non ha senso. C’è una cappella per stare davanti al Signore perché in ognuno c’è un angolo buio, di cui non bisogna vergognarsi, che invoca la luce». Una fiammella come quella della lampada rossa che lo stesso monsignor Delpini ha donato a tante realtà sul territorio, perché «nessuno sia una lampada spenta».
Infatti, «la cura per l’educazione dei ragazzi e delle ragazze in sostanza è la cura perché ciascuno viva la vita come vocazione, insieme a Gesù, accogliendo il suo Spirito per ardere e realizzare la propria vocazione. Nessuno è al mondo per caso o per niente».
L’invito è non perdere le occasioni proposte dal sempre ricchissimo calendario degli appuntamenti diocesani proposti dalla Fom «a Milano, a Roma, ad Assisi, allo stadio di san Siro, nei decanati, nell’estate degli oratori feriali».
Per questo, «gli oratori della diocesi di Milano costituiscono una federazione perché vogliono condividere proposte, iniziative, messaggi. Essere Chiesa attraverso un oratorio, non è l’unica strada, ma è quella privilegiata e pensata per tutti», conclude l’Arcivescovo.
La conclusione
Ancora si prega, nelle intercessioni, invocando la pace e ricordando chi si è speso per l’oratorio, arrivando alla fine della Messa ai ringraziamenti di don Guidi che sottolinea la decisa scelta di ragionare sulla diocesanità degli oratori e, scherzosamente, stila anche una presunta classifica di arcivescovi “visitatori” assidui degli oratori. «Al terzo posto ci sarebbe il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster con 658 visite; al secondo posto il cardinale Carlo Maria Martini Martini con 687 visite; al primo posto l’arcivescovo Mario con 874 visite».
E scatta subito l’applauso come quando, poco dopo, viene presentato ai concelebranti ai piedi dell’altare maggiore il grande striscione di oltre 20 metri che, interamente srotolato, mostra le più di cento fotografie di altrettanti oratori consegnate all’inizio della celebrazione. «L’oratorio non deve essere come una specie di prigione: un prete va in parrocchia per tutta la comunità con l’intera missione che il vescovo gli affida, anche con la presenza benedetta nella scuola. Ringrazio tutti coloro che si prendono cura degli oratori e che interpretano la vocazione dell’oratorio a essere un contesto educativo da cui, a un certo punto, uscire per vivere la vita, in tutti gli ambienti, da cristiani». Questa l’ultima consegna dell’Arcivescovo.