Ct 5,2a.5-6b; Sal 41 (42); 1Cor 10,23.27-33; Mt 9,14-15
Mi sono alzata per aprire al mio amato e le mie mani stillavano mirra; fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora all’amato mio, ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. (Ct 5,5-6)
La relazione sponsale, proprio perché è una relazione vitale, implica l’intera esistenza, la totalità della vita, con un intreccio paradossale fra presenza e assenza, prossimità e distanza. Anzi, l’amore vero è proprio quello che sa sostenere pure la distanza, senza che il legame venga meno. Così è pure l’amore fra il popolo e Dio, fra la Chiesa e Cristo: è un amore che conosce la fatica, che è dentro le armoniche del tempo, che è segnato dalla pesantezza dell’esperienza umana. La risposta che la sposa Israele deve dare a Dio è la giustizia, ovverosia la corretta impostazione dei rapporti sociali. Amore di Dio e amore del prossimo sono strettamente intrecciati: Dio ama Israele, perché Israele lo riami tramite la giustizia. Nell’esercizio della carità, nella difesa della giustizia, nell’attenzione ai poveri noi esplicitiamo il nostro amore per Dio e ne proclamiamo la verità. Senza questa triangolazione che si apra al prossimo il nostro amore per Dio resterebbe pura illusione, godimento estetico senza frutto.
Preghiamo
Signore Gesù,
la tua presenza dona ai nostri cuori
la gioia intensa dell’amore,
motivo di esultanza e di festa.
[“Appartenenti a questa via” – La sequela e il cammino verso la santità. Quaresima e Pasqua 2019 – Centro Ambrosiano]