In preghiera con i Rom e i Sinti nelle varie lingue e canti, espressione del sentimento religioso, di una pluralità di tradizioni, di culture e provenienze sotto la guida di papa Francesco. L’incontro di giovedì 9 maggio in Vaticano, poi proseguito presso il Santuario del Divino Amore di Roma, ha voluto essere una scommessa di speranza per raccontare una storia più bella e diversa rispetto allo sgarbo del monotematismo che, spesso, accompagna la narrazione su questo popolo.
Scommessa di raccontare la persona in quanto tale, e non attraverso gli aggettivi che gli si appiccicano addosso; scommessa di una preghiera che riduce quelle distanze che separano sempre di più la testa dal cuore; scommessa di una gioia di chi vuole stare insieme come fratelli e sorelle in una Chiesa e in una società che vede in ciascuno un essere umano da amare e per il quale, e con il quale, essere autorizzati a pensare. «È vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero! – scandisce chiaramente papa Francesco -. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare».
Ancora il Papa: i cittadini di seconda classe «vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza: “Vieni, poi parliamo, ma vieni, la porta è aperta”. E tutti dobbiamo collaborare».
Scommessa, dunque, per il popolo dei Rom e dei Sinti, ma anche per tutta la Chiesa e la nostra società. Scommessa di chi non fa finta che non esistano questioni aperte o persino problemi da risolvere, ma scommessa di chi inizia a costruire una fratellanza nuova a partire dalla valorizzazione dell’altro, chiunque esso sia, perché uno solo è il Padre di tutti e, chi crede, non può che chiamare ciascun uomo fratello, sorella.
Scommessa di chi non lascia spazio al giudizio o al rancore, ma di chi guarda negli occhi ciascuno dicendo, come ha sottolineato il cardinale Bassetti: «tu sei unico» e non «tu sei diverso». Scommessa che la Chiesa si sente in diritto e in dovere di sostenere, con la preghiera anzitutto e con la carità della fratellanza, perché questo popolo ci sia compagno nel cammino e anche chi non è capace di stringere la mano per percorrere insieme le strade del quotidiano, possa vedere uomini e donne pieni di dignità, fieri di potersi sostenere a vicenda e cantare insieme: «Bari Devalskardai, vava me pasal tute. Mangautu sukar: ia’ pasal mande. Nina men Sinti iam krol tar ciave. O dai kamli, ia’ pasal mende» (Madonnina mia, io vengo vicino a te, ti prego, ti ascolto. Anche noi Rom e Sinti siamo tuoi figli, vieni vicino a noi, prega per noi, tu che vuoi bene a tutti noi).