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Agliate, a capo di un’antica pieve

11 Marzo 2003

Può sembrare strano trovare una grande, splendida basilica antica in un piccolo paese con qualche decina di anime.
Il fatto è che Agliate ebbe ben altra importanza in passato, centro strategico già in età romana per la sua posizione nella valle del Lambro, tappa di rilievo lungo la strada che collegava Milano con Incino, l’attuale città di Erba.
Anche se i primi documenti che parlano di un’organizzazione plebana attorno ad Agliate datano soltanto al 1065, e cioè agli stessi anni in cui fu eretto il complesso basilicale, numerosi reperti archeologici ed epigrafici testimoniano la diffusione del cristianesimo in questo territorio fin dai primi secoli.
La dedicazione a San Pietro della chiesa battesimale, poi, ci porterebbe all’epoca longobarda o, al più, carolingia.
Sappiamo che nel XIV secolo ad Agliate risiedeva, oltre al prevosto, una comunità di dieci canonici, istituita forse già dall’arcivescovo Ansperto attorno all’880.
La pieve era costituita da ventidue cappellanie, e aveva i suoi centri più significativi in Besana e Carate: quest’ultimo annoverara a quel tempo anche un monastero degli Umiliati e un ospedale fondato dal beato Pietro Sapello, mentre a Brugora erano presenti le religiose benedettine.
Ma già in epoca sforzesca il prestigio di Agliate pareva essersi appannato.
I canonici sussistevano di nome ma non di fatto, e diverse chiese nella pieve risultavano affidate a un unico sacerdote. Anche il visitatore apostolico, nel 1584, non dovette fare una relazione esaltante a san Carlo, avendo riscontrato come l’antica capopieve avesse perduto il ruolo trainante di un tempo. Perfino il prevosto, da lì a poco, preferirà spostare la sua sede nella vicina, e più attiva, Carate.

L’interesse per Agliate e la sua basilica ritornò tuttavia sul finire dell’Ottocento, quando si decise di porre mano a radicali lavori di restauro, per recuperare la chiesa alle sue originarie forme romaniche, liberandola dalle sovrastrutture più tarde.
Un “premio” giunse anche dal cardinal Ferrari, che nel 1900 restituì a questa pieve brianzola la sua primigenia interezza. E così rimase fino a trent’anni fa.