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Il Natale 2023 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Duomo

«Essere Chiesa dalle genti, un popolo leale che spera nel futuro»

L’Arcivescovo Delpini ha presieduto in Cattedrale il Pontificale dell’Epifania. Annunciata anche la data della Pasqua 2024, che sarà il 31 marzo

di Annamaria BRACCINI

6 Gennaio 2024
Un momento della celebrazione in Duomo

È ancora possibile essere un popolo sobrio, leale, che non disprezza le istituzioni, che persegue il bene comune, che ha a cuore il futuro e che, per questo, spera nel domani? Sì, anche nelle «tragedie incalcolabili del presente».

A suggerirlo ai molti fedeli, anche stranieri, presenti in Duomo per il Pontificale dell’Epifania, è l’Arcivescovo che lo presiede (qui la sua omelia) con la concelebrazione del Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti e dei membri del Capitolo metropolitano della Cattedrale con l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo che porge il saluto iniziale.

Tutto, in questa giornata che segna la prima manifestazione pubblica di Gesù e che è anche Festa dei Popoli, dice di una solennità che, in Cattedrale, si colora di bellezza e della straordinaria ricchezza del rito ambrosiano con i canti eseguiti dalla Cappella musicale del Duomo e da un ensemble orchestrale di ottoni. Per una liturgia «che è un invito a guardare, a vedere l’opera di Dio che si compie» nel Bambino adorato dai Magi e che diviene, nelle parole dell’omelia del vescovo Mario, una riflessione su ciò che sta avvenendo sulla terra e un auspicio, appunto, a non perdere mai l’animo di un popolo ispirato e guidato dal Signore.

La Chiesa dalle genti  

Pur in questo nostro mondo dilaniato dalle guerre «nelle contraddizioni sconcertanti e nelle cattiverie terribili, nelle tragedie incalcolabili e nelle sofferenze tremende che gli uomini si impongono gli uni agli altri», che tuttavia non spengono la speranza. Proprio perché il Signore continua a compiere la sua opera, formandosi, così, «il popolo puro, il popolo santo di Dio» che esiste e vive in ogni parte del mondo: quella “Chiesa dalle genti” – evidente il richiamo al titolo del Sinodo minore avviato dall’Arcivescovo 5 anni fa -, che «è una comunione accogliente che preferisce la difficoltà di intendersi nella pluralità delle lingue all’uniformità della omologazione perché tutti dicano la stessa cosa».

«Ecco – prosegue monsignor Delpini -, io vedo il popolo puro che vive in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà. È gente che vive nel santo timore di Dio, che distingue il bene dal male, che non si lascia convincere che l’ingiustizia, l’imbroglio, la furbizia siano convenienti e che l’avidità sia una virtù e che la ricchezza; l’apparenza, il prestigio mondano siano valori per cui vale la pena di sacrificare la coscienza, il pensiero, gli affetti. Il popolo puro vive nella sobrietà, rifugge dall’ambizione, cerca di vivere con dignità, anche se non può permettersi quello che sembra obbligatorio per essere ammirato dagli altri ed essere utili come consumatori insaziabili».

Un popolo leale che non teme il futuro

Un popolo, questo, che vive con lealtà anche il rapporto con le istituzioni, composto da buoni cittadini, gente seria, che ha a cuore il bene comune. Non riesce ad avere stima di tutti i politici, ma non trova nella mediocrità o inaffidabilità delle persone una ragione per screditare l’istituzione. Il popolo puro non riesce a provare simpatia per tutti, né può approvare le scelte sbagliate e i comportamenti ingiusti, eppure preferisce incoraggiare al bene, essere esemplare nella coerenza, piuttosto che incrementare il risentimento e aggredire con asprezza», scandisce l’Arcivescovo citando le caratteristiche del popolo virtuoso delineato da san Paolo nella Lettera al discepolo Tito, appena proclamata.

Un popolo, quindi, che per queste sue peculiarità «abita il presente, ma non teme il futuro, si impegna con tutte le sue possibilità e inadeguatezze per rendere abitabile la terra, ma non ritiene di avere in questa terra la sua abitazione definitiva».

Quel «popolo che Gesù si è acquistato con il suo sangue che percorre la terra seminando speranza», con la vocazione «a essere Chiesa dalle genti, a vivere nella sobrietà, a non disprezzare le istituzioni, a camminare nella speranza», conclude il vescovo Mario che pronuncia questa sua frase che chiude l’omelia anche in inglese e in spagnolo. Così come, al termine della Messa nella quale, come tradizione, viene solennemente annunciata dal diacono la data della Pasqua del Signore che, quest’anno, ricorrerà il 31 marzo, la benedizione e l’augurio vengono ripetuti anche nelle due stesse diverse lingue. 

I Vespri e il canto dell’Omnes Patriarchae

La solennità dell’Epifania verrà, poi, nel pomeriggio, ancora celebrata sempre in Cattedrale, alle 16.30, con i Secondi Vesperi pontificali presieduti dall’Arcivescovo e il Rito dell’Omnes Patriarchae.

Secondi Vespri che, come ha annunciato monsignor Massimo Palombella, direttore della Cappella musicale del Duomo, saranno eccezionalmente proposti il giorno successivo, domenica 7 gennaio, alle ore 11.00 su Rai Radio 1. «Essi, infatti, prevedono un rito del tutto particolare e molto suggestivo, anche da un punto di vista musicale, con il canto dell’antica antifona ambrosiana dell’Omnes Patriarchæ. In essa si acclama alla rivelazione di Cristo nel Mistero natalizio proclamata dai patriarchi nell’Antico Testamento, preannunziata dai profeti e compiutasi con la nascita a Betlemme, confermata dall’annuncio degli angeli ai pastori e dall’apparizione della stella nei cieli, e che si attualizza nell’accoglienza del Salvatore da parte dei giusti. La tradizione vuole che quest’Antifona sia cantata per quattro volte consecutive, quasi a indicare che l’annuncio del compimento messianico si diffonde, attraverso i quattro punti cardinali, per tutta la terra».