«Il fenomeno migratorio è complesso, ma forse, un poco volutamente, anche tenuto nella confusione, in modo da risultare più utilizzabile per muovere emozioni, invece che per realizzare un’idea di vita sociale e di futuro dell’Italia e dell’Europa». Così l’Arcivescovo definisce una sua convinzione relativa alle migrazioni, intervenendo in Cattolica al convegno “Non per mare. Protezione internazionale e vie legali e sicure di ingresso”. Promosso da Caritas Italiana e Caritas Ambrosiana, l’incontro presenta il primo Rapporto sui Corridoi umanitari in Italia e si articola tra interventi di esperti e testimonianze, inserendosi nell’ambito del progetto europeo M.IN.D (Migration Interconnectedness Development), portato avanti dalla rete Caritas con il co-finanziamento dell’Ue.
L’intervento dell’Arcivescovo
«Sono presente per un senso di responsabilità e per il desiderio di capire, di dare un contenuto ai termini che si usano, sentendomi un po’ in colpa per la genericità dei nostri appelli, lanciati anche come Vescovi italiani», ammette l’Arcivescovo, che poi continua: «La migrazione è un fenomeno complesso perché comprende chi emigra fuggendo da realtà insopportabili, chi sente di svolgere un compito, chi vuole realizzare un sogno, chi emigra temporaneamente, chi lo fa come scelta di vita e chi lo fa essendo sfruttato. Eppure il fenomeno migratorio viene troppo rapidamente e colpevolmente ridotto a un aspetto emotivo, impressionante e capace di orientare una certa valutazione, del tutto illegittima, se non si inserisce in un quadro più complessivo delle cause e delle dinamiche».
Oltre a una «riflessione approfondita» sul tema, allora, serve anche «una capacità di gestione dell’immigrazione», perché «l’accoglienza è una forma della carità cristiana e del buon senso umano. I migranti sono persone concrete che vivono in situazione di emergenza: occorre pragmatismo e capacità di gestire del fenomeno, coniugando riflessione e quadro complessivo con provvedimenti reali. Mi accompagna il desiderio di guardare al futuro: chiedendoci dove andiamo e che tipo di società vogliamo costruire. Come Chiesa ambrosiana ho proposto di affrontare questi temi con il Sinodo “Chiesa dalle genti”, prendendo coscienza della provenienza di tante cattolici dai cinque continenti. Quale Chiesa vogliamo costruire? Che siano gli stessi migranti a parlare. Vivere insieme non è solo accogliere loro o integrare loro, ma costruire un nuovo noi insieme con loro».
Il Rettore e il Sindaco
Dunque, conoscenza e realismo, come poco prima, aprendo i lavori, aveva detto il rettore della Cattolica Franco Anelli, richiamando l’impegno dell’ateneo in questo ambito, a livello di insegnamento e di iniziative: «Basti pensare che tra i dodici progetti ritenuti di particolare interesse e quindi finanziati con fondi propri dell’Università, sette sono dedicati al fenomeno migratorio. E a questo proposito, se è bello ricordare che il Protocollo siglato con il Governo italiano sui “Corridoi umanitari” nasce da un’intesa tra Cei (mediante Caritas), Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese, è bello anche rammentare le parole del presidente Mattarella, che ha definito quell’accordo “un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione italiana”».
Il sindaco Giuseppe Sala, nel suo videosaluto, scandisce: «La prima considerazione è che siamo a questo punto perché in Europa si è dormito o ci si è accontentati di slogan, scappando dal tema fondamentale, ossia come umanamente aiutare chi scappa dalla miseria e dalla guerra nel rispetto della vita quotidiana. Senza arroganza, Milano ha cercato di farlo, e l’ha fatto con intelligenza e cuore. Se a Milano si possono vincere sfide difficili, come quella della presenza di un 19-20% di immigrati, dipende dal fatto che si lavora in collaborazione, come si fa, per esempio, con Caritas. Non c’è altra via che rimboccarci le maniche e andare avanti, scegliendo strumenti efficaci».
La realtà dei Corridoi
Come appunto sono i Corridoi umanitari, avviati grazie al Protocollo di intesa siglato nel 2017 e che, garantendo un ingresso legale in Europa, hanno portato in due anni ad accogliere 500 richiedenti asilo, tra cui 106 famiglie e 200 bambini, dei quali il 58% sotto i 10 anni. Persone che vivevano nei campi profughi di Etiopia, Giordania, Turchia e che, una volta arrivate in Italia, hanno trovato posto in strutture, appartamenti di parrocchie, istituti religiosi, privati cittadini, diffusi su 87 Comuni collegati alla rete di 47 Caritas diocesane presenti in 17 regioni. Anche la Diocesi di Milano ha fatto la sua parte: con gli ultimi arrivati all’inizio dell’anno, sono saliti a 26 gli ospiti giunti attraverso questo canale, che permette di offrire protezione senza costringere ad affidarsi ai trafficanti. Oltre 700 gli operatori e i volontari coinvolti nel progetto.
Illustrando le cifre, Oliviero Forti, responsabile delle Politiche migratorie di Caritas Italiana, annuncia: «Si è in procinto di firmare un secondo Protocollo con il Governo per altre 600 persone che, nei prossimi due anni, potranno raggiungere l’Italia in maniera sicura».
«Abbiamo voluto alzare lo sguardo sulle ragioni della migrazione e sentire le storie, talvolta allucinanti, di chi ha cercato di giungere in Europa – osserva Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana -. L’idea dei corridoi umanitari – nata fin dagli anni Novanta – emerge dalla domanda su quali siano l’uomo del futuro che vogliamo costruire e la comunità che vogliamo garantire. Una comunità in perenne conflitto o una che dialoga e vede con fiducia il domani? Una comunità che si basa su muri e porti chiusi, o capace di dire qualcosa e dare idee sulla convivenza futura? La sfida è culturale ed educativa». Espressioni cui fa eco il responsabile Area nazionale di Caritas Italiana Francesco Marsico, che parla della necessità di «carità politica e di cultura. Il Rapporto è un primo tentativo per raccontare la scelta della Chiesa italiana di accogliere: scelta ecclesiale e non solo testimoniale di alcune sue espressioni».