L’appuntamento elettorale si avvicina. Domenica 26 maggio saremo chiamati alle urne per eleggere i nostri rappresentanti al Parlamento europeo, l’unica istituzione europea i cui deputati sono eletti direttamente dai cittadini dei Paesi membri. Si tratta dunque di una magnifica occasione per esprimere la nostra cittadinanza europea. Sì, perché noi italiani, in quanto cittadini di un Paese membro dell’Unione europea (Ue), siamo anche cittadini europei. Abbiamo cioè alcuni diritti, come soggiornare e circolare liberamente nell’Ue, oppure partecipare attivamente alla vita politica dell’Unione e ancora presentare petizioni (al Parlamento) e reclami (al Mediatore europeo). L’esercizio della nostra cittadinanza europea non si esaurisce dunque con un voto. Anzi, si può dire che con il voto inizia.
Siamo cittadini europei anche quando proviamo a pensarci in un contesto di “unione” diverso dall’ambito politico, ma comunque assai rilevante per le nostre vite. Come nel caso della finanza sostenibile e responsabile (Sri, da sustainable and responsible investment).
Ho lavorato fin dal 2000 alla finanza attiva e partecipativa. Il mio obiettivo è stato fare dell’investimento una strategia che responsabilizzi i gestori, ma soprattutto gli investitori, che hanno la possibilità di scegliere come dirigere i loro investimenti verso aziende e settori che fanno scelte buone per l’ambiente e la società e si comportano in modo responsabile e sostenibile nella gestione delle risorse loro affidate. Ora mi sento coinvolta in questa sfida delle elezioni perché vorrei poter contribuire a rendere più attivi i cittadini europei, aiutandoli a scegliere con consapevolezza prima di tutto attraverso l’esercizio del loro potere di voto.
Non è per nulla scontato che le persone vadano a votare. Per questo è importante che tutti (lo Stato in primis, le famiglie, le università, le aziende) ricordino come questo diritto è anche un dovere, verso un futuro che dobbiamo tutti concorrere a migliorare.
L’attività dell’Ue
L’Unione europea ha fatto molto in tema di finanza sostenibile e di partecipazione da parte degli stakeholder (i portatori d’interesse nei confronti di un’azienda, come per esempio i dipendenti, gli azionisti, i clienti e i fornitori) alle scelte dei manager nella gestione aziendale. L’Ue ha promosso direttive importanti come la Shareholders Rights Directive (SRD) o la IORP 2, che obbligano gli azionisti a chiedere conto delle strategie delle aziende in riferimento ai cambiamenti climatici, agli impatti ambientali e sociali dell’attività d’impresa. Cito questi esempi perché sono quelli che ci riguardano più da vicino. Non voglio dire che sia tutto giusto e buono nell’azione dell’Ue, anzi, è noto che ci sono aspetti anche importanti da migliorare; ma nemmeno è giusto e prim’ancora corretto affermare che sia tutto da buttare quanto fatto finora, specie a livello di regolamentazione.
Certo, il male dei nostri tempi è la eccessiva normazione, la giungla di regolamenti in cui è difficilissimo districarsi e che rende spesso incerte le soluzioni che si adottano. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci gli sforzi, in qualche caso davvero enormi, che si stanno facendo per uniformare legislazioni statali, lingue, culture profondamente diverse tra loro all’interno dell’Ue.
Il sogno di una Unione Europea, pur con i suoi indiscussi problemi e diversità, è stato ed è tuttora una realtà per la quale voglio continuare a impegnarmi in prima persona, facendo leva sull’assenza delle frontiere che una volta ci dividevano e sulla possibilità che abbiamo oggi di esportare liberamente idee, proposte e esperienze in differenti contesti, attingendo e arricchendoci dalle nostre diversità. Ciò non certo con l’idea di omologare tutto e tutti, bensì con la voglia di scambiarsi opinioni, di apprendere, di non chiudersi mai al dialogo e anzi di ricercarlo. Ho partecipato ai lavori della federazione delle Banche etiche europee e sono stata colpita dalla grande voglia di ciascuno Stato di influenzare gli affari e il modo di condurre il business, con proposte simili fra loro, ma adatte ai differenti contesti.
Il Piano d’azione
La voglia dell’Unione europea di fare della finanza sostenibile uno dei fondamenti dello sviluppo economico e sociale del futuro è diventata particolarmente evidente da quando poco più di un anno fa – era il marzo del 2018 – è stato varato il Piano d’azione dell’Ue per la finanza sostenibile. È un piano molto ambizioso, che vuole mettere la sostenibilità al cuore del sistema finanziario europeo, definendo per esempio quali attività economiche sono sostenibili, o meno, in riferimento all’Accordo di Parigi del 2015 sulla riduzione delle emissioni di Co2 e nella prospettiva della lotta ai cambiamenti climatici, la più grave emergenza che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. Obiettivo del piano è quello di indirizzare gli investimenti e i capitali privati nel senso della sostenibilità, prima di tutto ambientale, data l’urgenza della sfida posta dal climate change, ma senza ovviamente dimenticare le altre due “gambe”, quella economica e quella sociale, su cui poggia un autentico approccio alla sostenibilità.
Il Piano d’azione sulla finanza sostenibile promosso dall’Unione europea è guardato con grande interesse in tutto il mondo, anche perché in questo settore il Vecchio continente è leader mondiale. Questa leadership globale è stata confermata dall’ultimo rapporto pubblicato alla fine del 2018 da Eurosif, l’associazione che raggruppa i forum nazionali europei (come il Forum per la Finanza Sostenibile in Italia) che promuovono nei rispettivi Paesi questo approccio alla finanza. Ci sono strategie come quelle di esclusione di settori controversi (tradizionalmente le armi, il tabacco, l’alcol, il gioco d’azzardo e più recentemente le fonti fossili di energia) che interessano asset per circa 10 mila miliardi di euro. Molto diffuse anche le strategie di engagement (circa 5 mila miliardi di euro di asset), che vedono gli investitori dialogare e confrontarsi con il management delle aziende in cui investono per esercitare pressione su di loro al fine di un miglioramento delle performance di sostenibilità delle società. Così pure le strategie di integrazione dei fattori Esg (ambientali, sociali e di governance) in ogni fase del processo d’investimento, che valgono quasi 4.300 miliardi di euro.
Fermenti in atto
L’approccio sostenibile e responsabile è dunque diventato un approccio mainstream in ambito europeo e la stessa cosa si può dire dell’Italia. Molti gli elementi che di fatto lo testimoniano: il Forum per la Finanza Sostenibile, per esempio, negli ultimi tre anni ha visto raddoppiare i suoi iscritti, ora vicini al centinaio; quest’anno il Salone del Risparmio organizzato da Assogestioni, il principale evento di settore nel nostro Paese, ha messo la finanza Sri al centro del suo programma («Sostenibile, Responsabile, Inclusivo. Le nuove frontiere del risparmio gestito» è il suo titolo); Borsa Italiana si avvia a organizzare ai primi di luglio per il terzo anno consecutivo (unica Borsa valori al mondo a farlo) il Sustainability Day, una giornata interamente dedicata al dialogo e al confronto tra società quotate e investitori istituzionali sui temi della sostenibilità; ha cominciato inoltre a muovere i primi passi l’Osservatorio Italiano sulla Finanza Sostenibile promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Oggi, è vero, non è immediato guardare all’Unione europea come a un insieme di opportunità, perché è più facile soffermarsi su ciò che non funziona. Per esempio sul peso eccessivo dato alle questioni economiche e finanziarie dei Paesi membri, sull’austerità nella gestione delle stesse, oppure sul mancato accordo tra i diversi Paesi sulla politica estera dell’Unione.
Eppure la gestione responsabile e sostenibile delle finanze offre un orizzonte valoriale grazie al quale, come cittadini europei, possiamo dare un volto diverso all’Unione. Uno spazio in cui fare cultura e politica, nel senso “alto” dei loro significati.
Il coinvolgimento necessario
Pensiamo per esempio alle campagne come quella, internazionale, per il disinvestimento dalle fonti fossili di energia nell’ottica della transizione ecologica del modello di sviluppo, dove molte realtà cattoliche in Europe e nel mondo sono protagoniste, ispirate dalle parole di papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ (par. 165: «Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio»). Campagne come questa possono essere di grande aiuto per orientare gli investimenti e le politiche energetici europee del futuro. Specie quando sono supportate da una vasta consapevolezza della gravità delle sfide che fenomeni come i cambiamenti climatici in atto pongono all’umanità intera, quando cioè come cittadini diventiamo anche noi protagonisti nel sollecitare e accompagnare le imprese e i Governi europee in una direzione piuttosto che in un’altra. Basti pensare all’enorme impatto, anche mediatico, avuto dallo sciopero globale per il clima del 15 marzo, dove protagonisti sono stati soprattutto i giovani e i giovanissimi. Che sono il nostro futuro.
La sostenibilità, e in particolare la finanza sostenibile, può essere un collante determinante dell’Unione europea di domani. Di un’Unione che metta autenticamente e decisamente al centro di tutta la sua azione la sostenibilità e l’attenzione al bene comune, mobilitando energie, risorse e intelligenze a tal fine. Non scordiamoci di questa grande opportunità quando, il 26 maggio, saremo di fronte a un momento forte di scelta in cui esercitare la nostra piena cittadinanza europea.
Ogni giorno, tuttavia, è il tempo della scelta. Perché tutti i nostri comportamenti quotidiani, di acquisto e consumo, di investimento, di mobilità, legati al nostro stile di vita, sono un “voto” che esprimiamo a favore di un modello di sviluppo o di un altro. L’importante è essere consapevoli che sia dal voto nell’urna, sia dal voto espresso ogni giorno nei comportamenti, dipende il nostro futuro.