Alla partenza, la citazione di Osea – «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» – ci ha ricordato immediatamente la santità della terra d’Egitto, che ha avuto l’onore di accogliere la Santa Famiglia. Un Paese dalla storia plurimillenaria, difficilmente sintetizzabile in poche righe e nei pochi giorni (25 febbraio – 1 marzo) nei quali si è svolto il pellegrinaggio dei sacerdoti ambrosiani ordinati negli ultimi dieci anni, guidati dall’Arcivescovo.
La civiltà dell’accoglienza
Fin da subito la visita al Museo Egizio del Cairo ci ha posto dinanzi allo splendore di quella civiltà. È stato emozionante trovarsi davanti ai tesori dei Faraoni, ma soprattutto davanti alla stele del Faraone Meri in ptah, figlio del grande Ramses II, che per la prima volta cita il popolo ebraico: una traccia millenaria, incisa nella roccia, dell’Esodo.
Vicino al nostro albergo abbiamo potuto contare sull’accoglienza dei frati della chiesa di San Giuseppe, che ci ospitato per le nostre celebrazioni; abbiamo inoltre potuto ammirare la loro sala cinematografica, sede di uno dei più rinomati Festival di cinema arabo.
Il mondo copto, custode delle tracce della presenza della Santa Famiglia nella antichissima chiesa di Abu Serga, ci ha stupito per la squisita accoglienza dei nostri fratelli egiziani. Nel Seminario copto cattolico Sua Beatitudine Ibrahim Abraham Sedrak ha avuto la gentilezza di farci concelebrare in rito copto con sussidi stampati appositamente in italiano per l’occasione. Con passione i confratelli copti ci hanno raccontato delle opere sociali della Chiesa, nella consapevolezza che una fede incapace di produrre opere è morta, pur essendo una minoranza nella minoranza nella società egiziana.
L’amicizia, base del dialogo
Non poteva mancare l’incontro con la realtà islamica, sunnita in particolare. Abbiamo potuto ammirare il candore dei marmi della famosa Moschea di Al-Azhar, vedere musulmani pregare e studiare il Corano. Abbiamo poi avuto l’opportunità di ascoltare due protagonisti del dialogo islamo-cristiano in Egitto, il domenicano padre Jean Druel con il suo collega il professor Amr, che ci hanno mostrato come il dialogo e la tranquilla presentazione della fede passi per un indispensabile ingrediente: l’amicizia, unica forza capace di vincere secolari diffidenze e precomprensioni.
Ma in una visita in Egitto non ci si può esimere dal fermarsi ad ammirare la maestosità delle Piramidi, sentendo vere le parole di Erodoto: «L’uomo teme il tempo, il tempo teme le Piramidi!».
Carità, un’acqua purissima
Per entrare ancor meglio nel tessuto del Cairo, cogliendone magari un lato nascosto, ci siamo divisi per incontrare le realtà delle suore di Madre Teresa nel quartiere di Mukattam, il campo profughi dove sono ospitati i sudanesi presso il quartiere di Sakakini, la scuola comboniana e padre Luciano che opera tra i quartieri di Eizbet el nakhl e El khusus dove ci sono le zaraib, le stalle, luoghi estremamente miseri dove vivono diversi cristiani. L’opera di padre Luciano è una goccia di acqua pura in mezzo al liquame. La gente vive insieme ai suoi animali, anche da allevamento, in mezzo a immani cumuli di immondizia. Quest’ultima ammorba pesantemente l’aria, ma è la fonte di guadagno (circa 6 euro per 12 ore di lavoro) per queste persone. La purezza dell’opera di padre Luciano, la Fondazione per lo sviluppo sociale Sakkara, non è data dall’edificio in costruzione – incredibilmente pulito, dato il quartiere -, ma dalla cooperazione tra cattolici e ortodossi, tra cristiani e islamici, perché i ragazzi di quella zona, facendone esperienza, sappiano che un’altra vita è possibile e non ci si deve rassegnare.
La conclusione di un pellegrinaggio in Egitto non poteva dimenticare il mondo monastico, nato dall’esperienza spirituale del grande Sant’Antonio. Le porte del monastero di San Macario si sono dischiuse per noi, permettendoci di incontrare la ricca spiritualità del mondo copto ortodosso. Nel monastero di Amba Bishoy, infine, abbiamo avuto l’onore di essere cordialmente ricevuti dal patriarca copto ortodosso, Sua Santità Tawadros II.