La periferia come laboratorio di idee, incontro di fedi e di tradizioni, agorà aperta al domani e inclusiva, nell’incrocio di cammini personali e comunitari che nascono nella metropoli o in altre parti del mondo.
Il Campus di Educazione alla Pace, giunto con crescente successo alla sua IV edizione, con il titolo “De-centramento. Centro e periferia, oltre ogni confine esistenziale”, è tutto questo. Promossa nello storico e non facile quartiere Gratosoglio – una delle periferie più problematiche della città, con le sue famose “torri” di via dei Missaglia -, l’iniziativa, proposta dalle parrocchie del quartiere, vede già da giorni (fino al 15 febbraio) il coinvolgimento di oltre 1000 giovani, provenienti anche da altre zone di Milano, a cui si aggiungono 14 tra ragazze e ragazzi di Sarajevo, in maggioranza di fede musulmana. E allora, al cuore dell’iniziativa, la Veglia interreligiosa celebrata nella parrocchia Maria Madre della Chiesa, arrivano anche l’Arcivescovo, il sindaco Giuseppe Sala, rappresentanti di fedi diverse e tanta gente.
Si riflette e si prega insieme, dopo il saluto portato dal primo cittadino che dice: «Siamo qui per un momento molto importante, un’alleanza, non inedita per la città, che conosce la cultura del lavorare insieme e del dialogo interreligioso. In un momento in cui c’è un poco di disorientamento, non stiamo perdendo la rotta: siamo in un quartiere che merita certamente di più e sappiamo che dare a tutti il giusto sarà un percorso lungo, ma non manca l’energia per farlo. Siamo orgogliosi. Questa non è solo la metropoli dei record, ma la città dove il 10% dei milanesi fa volontariato e tutti cercano di darsi una mano e di fare la propria parte. Camminiamo insieme su un percorso che non può che essere di pace e di miglioramento della condizione di tutti».
Dopo l’esecuzione di suggestive e antiche sonorità della tradizione ebraica sefardita, l’ingresso nella chiesa, in processione, di esponenti di quattro religioni (tra cui l’Arcivescovo), il saluto di don Giovanni Salatino – vicario parrocchiale e incaricato della Pastorale giovanile del Gratosoglio – e la lettura di uno stralcio del Documento sulla fratellanza e la pace, firmato da papa Francesco e dall’iman di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, si avvia la Veglia. Tra i canti risuonano le voci delle fedi, ciascuna delle quali chiamata a commentare alcuni brani delle proprie Scritture sacre.
I buddhisti tibetani – che dalla tragedia delle Torri Gemelle ogni giorno recitano, nel mondo, una lunga preghiera per la pace – leggono coralmente le 7 “Meditazioni illimitate”. L’imam di Sesto San Giovanni Abdullah Tchina commenta alcuni versetti del Corano e riflette: «È bellissimo che la periferia milanese consolidi l’unità, l’unione per la pace e l’amore del prossimo, con l’impegno, soprattutto dei giovani, per la città del futuro dove c’è posto per tutti». Toccante il momento nel quale un ragazzo musulmano di Legnano, Anas, chiede di pregare per il giovanissimo amico Abdoul, morto in un incidente.
Il decano e arciprete della Chiesa ortodossa romena padre Traian Valdman, dopo la lettura della Lettera agli Efesini, sottolinea: «Gesù è il creatore della pace e della riconciliazione, perché in lui – uomo e Dio – l’uomo incontra Dio. Cristo annuncia la pace a chi è vicino e a chi è lontano. L’amore per gli altri, specie verso chi vuole fare del male, è un investimento di amore e di speranza. Predicare la pace significa ricordare la sacralità della vita umana. La ricerca della pace costituisce per i cristiani non solo una caratteristica strutturale, ma un preciso dovere. Ci impegniamo a dichiarare che la violenza e il terrorismo contrastano con la religione e a stare, con lo stesso atteggiamento, nel centro e nelle periferie. Le fedi e la guerra si escludono a vicenda».
A commento del Vangelo di Marco, prende la parola l’Arcivescovo: «L’umanità è ferita nelle sue manifestazioni belle, più alte e necessarie, nel suo bisogno, dall’avidità che induce le persone a prendere, ad accumulare e a ritenere che l’altro sia un nemico. È una ferita che porta alla guerra e che fa soffrire l’umanità. Il bisogno, invece, deve generare condivisione, insegnandoci a curare questa ferita. Vorrei incoraggiare tutti a creare laboratori dove si vigili perché il bisogno non porti all’avidità. Che il Campus sia un laboratorio per questo. Prego che le religioni e questo quartiere lo siano altrettanto e che il bisogno convinca alla condivisione».
«L’umanità è ferita nelle sue caratteristiche più nobili, anche nella parola – prosegue -. Parola che accusa, che offende, banale. L’invito a cercare la cura per questa parola ferita è il silenzio. Le diverse religioni, quando parlano, sembrano chiamare Dio con nomi diversi e dire cose contrastanti, quando fanno silenzio e pregano l’unico Dio, guariscono la parola ferita e favoriscono parole di pace».
«L’umanità è ferita nelle relazioni che si ammalano di paura, di sospetto, di pregiudizio, di contrasti. Bisogna creare laboratori in cui si cura la relazione interpersonale. Invito tutti – le religioni, le associazioni, le aggregazioni, la città – a curare con la mitezza e il perdono. Così potremo costruire relazioni caratterizzate dalla stima vicendevole e dal rispetto. Come voce della Chiesa cattolica, e cercando l’alleanza con tutte le religioni, invito a fare di questo Campus e di questa città, un laboratorio per curare la ferita dell’avidità con la condivisione; a curare la parola che ferisce con il silenzio da cui viene la parola che guarisce; a curare la ferita delle relazioni con l’esercizio della carità, che genera relazioni di pace».
Infine, in processione, tutti raggiungono la piazza, tra i palazzoni popolari di via dei Missaglia dove, dalla lampada benedetta da papa Francesco il 16 gennaio scorso, si accendono tante fiammelle che vengono portate dai fedeli nelle proprie case ed esposte ai balconi.