(Lc 14, 25-33)
“Molta gente andava con lui” …. e bisogna aggiungere subito, se comprendiamo bene il testo, ”non sapeva cosa volesse dire essere discepoli di Gesù”.
Luca mette in scena molto bene il momento in cui Gesù sente la loro presenza e si volta verso queste folle per svelare loro la verità della condizione del discepolo. E bisogna ammettere che non lo fa con molto riguardo!
Luca, che conosce perfettamente il greco, ha scelto un semitismo, l’opposizione tra “odiare” e amare”, piuttosto che la formula di Matteo nel testo parallelo che dice “preferire”, e questo per far sentire la radicalità della posizione di Gesù.
Essere discepoli vuol dire accettare uno sconvolgimento della propria vita.
Gesù lo definisce in due modi.
La rottura! O, per dirla più in positivo, scegliere in modo esclusivo un rapporto nuovo con Gesù. “Odiare” urta, dà fastidio. E’ proprio per questo. Credo che Gesù abbia voluto non illudere le folle che lo seguivano. Queste non possono seguirlo con gli occhi rivolti verso il proprio io.
Non possono restare rinchiuse nelle loro naturali relazioni. Devono sapere che ci sono delle condizioni per diventare discepoli. Ma non stupiamoci di sentire Gesù ridire a suo modo il comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente”. Non è mai soltanto un richiamo del decalogo. Di fatto ci sono, ci saranno sempre delle fratture.
Ma questa condizione non si pone soltanto alla partenza, o nel rapporto naturale con il mondo che ci circonda, ma si pone anche nel tipo stesso di vita che viene e sarà sempre richiesta al discepolo. “Portare la propria croce”.
La formula può sembrarci eccessiva. Paragonare la vita del discepolo alla vita di un condannato a morte ci sembra sconcertante e fuori misura. Ma per Gesù si tratta di far sentire ai suoi interlocutori che devono rinunciare totalmente a se stessi.
Odiare, portare la propria croce, ed ora rinunciare: ecco l’esigenza assoluta che Gesù vuol far capire e per la quale invita le folle a seguirlo per un apprendimento globale di una vita offerta, testa, cuore, volontà, corpo…
Questo merita una riflessione!
E’ almeno quello che dicono le due piccole parabole che accompagnano queste affermazioni di Gesù nel Vangelo di Luca.
Che si tratti dell’uomo che si siede per calcolare la spesa prima di costruire una torre, o del re che conta le sue truppe prima di progettare di affrontare un nemico, si tratta sempre di esercitare la propria saggezza; di valutare le proprie possibilità…
Temo solo che questa strada, assolutamente legittima, che sarà sempre necessaria perché la nostra decisione di seguire Gesù mobiliti tanto la nostra intelligenza quanto il nostro cuore, temo solo che questa ci porti sempre alla stessa constatazione: quale volontà saprà piegarsi davanti alla sua, quale progetto di vita accetterà di sottomettersi al suo? Noi sappiamo che solo la sua chiamata, la sua decisione, la sua grazia, fanno di noi dei suoi discepoli e ci concedono di rinunciare a noi stessi per essere suoi.
E’ lui che ci rende discepoli; è lui la cui parola ci tocca; èlui che ci colpisce in fondo al cuore nel punto in cui noi ci sappiamo amati; è lui che ci mette in movimento ed è in questo movimento che fa appello alla nostra saggezza, alla nostra riflessione.
Più che mai, forse, in un mondo secolarizzato, orientato verso la soddisfazione delle aspirazioni individuali, ciò che minaccia il discepolo è il conformismo. L’incapacità di trovare le strade della rottura, della rinuncia e dell’impegno.
Gesù ci chiede di passare ogni giorno dallo statuto dell’eletto a quello del partigiano. L’eletto è colui che si sa amato, chiamato.
Il partigiano è colui che ama a sua volta e risponde alla chiamata.
Gesù mette nei nostri cuori le parole della sua vita, ci chiede di vivere di queste in modo deciso e fiducioso, tanto deciso e fiducioso quanto colui che ha rinunciato a tutto.
Questa rinuncia non è una qualità morale necessaria per diventare discepolo. E’ Lui che per la sua grazia ci rende discepoli. Ma i discepoli che Egli fa di noi sanno che niente è più prezioso della parola che ci rivolge, che ci indica il cammino della vita.
Jean-Arnold de Clermont
Presidente della Conferenza delle Chiese d’Europa (CEC), Francia