Ignorato dalle fonti agiografiche greche e bizantine, san Sergio è celebrato come martire in Occidente, grazie a una passio latina che ne ha diffuso la memoria. Sergio era magistrato di professione, ma da tempo aveva abbandonato la toga per fare vita eremitica in solitudine nei dintorni di Cesarea.
Nel 304, all’epoca dell’imperatore Diocleziano, il governatore dell’Armenia e della Cappadocia, di passaggio da Cesarea, durante le celebrazioni annuali in onore di Giove, volle che fossero convocati davanti al tempio pagano tutti i cristiani della città per costringerli a sottomettersi agli ordini imperiali relativi al culto ufficiale. Tra la folla comparve anche Sergio che era uscito liberamente dal suo eremo, senza essere stato convocato; la sua presenza e la sua preghiera produsse l’effetto di spegnere i fuochi preparati per i sacrifici. Si attribuì la causa del fenomeno ai cristiani che con il loro rifiuto di unirsi al sacrificio avevano irritato il dio. Ma Sergio si fece avanti e spiegò la vera ragione dell’avvenimento nell’onnipotenza dell’unico e vero Dio, adorato dai cristiani.
Fu subito arrestato e condotto davanti al governatore, e con giudizio sommario condannato alla decapitazione e immediatamente giustiziato. Era il 24 febbraio. Le sue reliquie, deposte dapprima nella casa di una donna pia, furono poi traslate in Spagna, nella città Andalusa di Ubeda.
Penultima Domenica dopo l’Epifania
San Sergio di Cesarea, martire