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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Intervista

«Affidate alla Provvidenza, portiamo avanti l’opera d’accoglienza di fratel Ettore»

Alla vigilia della chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione del Camilliano (il 25 novembre, alla presenza dell’Arcivescovo, a Casa Betania di Seveso), parla suor Teresa Martino, che gli è succeduta alla guida della comunità

di Annamaria BRACCINI

22 Novembre 2023
Fratel Ettore e suor Teresa

«A portare avanti l’Opera di Fratel Ettore, che è opera di Dio, è ancora la sua spiritualità. Quello che ci ha insegnato siamo noi oggi, la sua comunità, anche se in concreto siamo solo tre, Ester, Laura e io». Suor Teresa Martino – un passato da attrice e doppiatrice, prima dell’incontro con fratel Ettore Boschini nel 1994 – spiega con semplicità e passione l’Opera affidatale dal fondatore, associazione privata di fedeli che porta il nome di questo straordinario profeta dei poveri. La fase diocesana del processo per la sua beatificazione si concluderà sabato 25 novembre, alla presenza dell’Arcivescovo, presso Casa Betania di Seveso (vedi qui la locandina). Proprio in quella che è la principale struttura di accoglienza dell’Opera, dove riposano le spoglie di Boschini e dove vengono accolti nel dormitorio 100-150 persone, spesso di passaggio, oltre la comunità residenziale con 40 posti. Si aggiunge poi il Villaggio della Misericordia ad Affori (90 posti letto) e la piccola azienda agricola “Nostra Signora di Loreto” in provincia di Chieti.

Quali sono i cardini su cui poggia l’Opera?
Sono i due pilastri del carisma di fratel Ettore, l’accoglienza e la Provvidenza. Lui accoglieva i poveri soprattutto dentro di sé, quelli che nessuno vuole: i miseri, gli affamati, sporchi, maleodoranti, rifiutati perché coperti di piaghe o vestiti di stracci. Per tutti fratel Ettore è stato un padre, un rifugio, un punto di riferimento. Rivestiva i poveri di abiti puliti e di dignità.

Non vi spaventa essere così poche?
Anche il nostro essere solo in tre sorelle che hanno professato i voti nel contesto dell’Opera Fratel Ettore significa essere povere, non fare mai sfoggio di potere e di autosufficienza. Crediamo alla Provvidenza e a lei ci affidiamo, come è accaduto nel mio sgomento dei giorni successivi alla morte di fratel Ettore, quando in maniera del tutto inaspettata sono venute ad abitare con me Ester e Laura, ma anche in tanti piccoli episodi della vita quotidiana. Per esempio quando volevamo festeggiare il compleanno di Matteo, un ospite buono e burbero che parlava a monosillabi in una lingua sconosciuta. In casa non avevamo nemmeno un budino, ma uscendo di chiesa mi sento chiamare da una signora che mi offre – incredibilmente – proprio una torta di compleanno. Fratel Ettore concepiva la Provvidenza in modo simile a una maternità e immaginava la sua Opera come una comunità di aiuto che si lascia aiutare, una scuola di vita fatta di persone che avrebbero provato a vivere la sua beatitudine. Una beatitudine che non c’è nel Vangelo: «Beati coloro che sentono il bisogno dell’aiuto degli altri, che sentono il bisogno del prossimo, della vicinanza delle sorelle e dei fratelli».

Un carisma portato avanti, insomma, tutto “al femminile”…
Sì, siamo donne, ma la maggioranza delle persone accolte sono uomini e nel dormitorio a volte arrivano ubriachi con voglia di menar le mani. È evidente che c’è una grazia speciale che calma gli animi e rasserena i cuori. Nel nostro archivio abbiamo le prove di tutti i tentativi di fratel Ettore di avviare una sua comunità e sappiamo persino come voleva chiamarla: «Discepoli e Discepole di San Camillo». Non è mai è riuscito a realizzare questo suo sogno, ma so per certo che sulle donne contava davvero tanto, io penso per l’amore incondizionato che nutriva per la Madonna, per la sua maternità spirituale. E questo è ancora oggi il nostro compito. 

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