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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Riconoscimento

All’Arcivescovo il Premio Internazionale Cassiodoro il Grande

Assegnato per l'impegno a «far giungere il Vangelo dove ce n’è bisogno e dare una testimonianza viva a chi si forma per essere pastore o a chi già esercita questo ruolo nella comunità cristiana»

di Annamaria BRACCINI

15 Novembre 2023
La consegna del Premio all'Arcivescovo (foto Enrique Dominguez)

In due solenni cornici – prima nell’area archeologica sotterranea del Duomo e poi nella Sala delle Conferenze dell’Arcivescovado – si è svolta quest’anno a Milano la XIV edizione del Premio Internazionale Cassiodoro il Grande, prestigioso riconoscimento assegnato ogni anno a personalità distintesi nei diversi settori praticati dal celebre scrittore: politico, diplomatico, biblista, musicologo, monaco, fondatore di monasteri e imprenditore, Cassiodoro visse nel VI secolo e di lui è in corso il processo di beatificazione.

Tre i momenti della Giornata promossa dall’Associazione “Premio Cassiodoro”. Presieduta dal sacerdote paolino don Antonio Tarzia, fondatore e “anima” dell’iniziativa. In primo luogo la visita, con la commemorazione e la preghiera presso il Battistero di San Giovanni alle Fonti. presiedute dall’arciprete del Duomo monsignor Gianantonio Borgonovo e introdotte dal vicepresidente dell’Associazione, il paolino don Roberto Ponti (direttore dell’emittente televisiva Telenova). Poi la premiazione, nella quale i consueti medaglioni argentei sono stati consegnati all’Arcivescovo, agli scrittori Arnoldo Mosca Mondadori e Giuliano Vigini, alla scienziata Amalia Ercoli-Finzi e all’imprenditore Ernesto Pellegrini; conferiti anche due premi “alla memoria”, all’avvocato Corrado Sforza Fogliani e all’imprenditrice Maria Perego, l’inventrice di “Topo Gigio”. I premiati vanno così ad aggiungersi, tra gli altri, a Luciano Pavarotti, il cardinale Gianfranco Ravasi e Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il tutto accompagnato dalle delicate sonorità di antichi brani musicali, eseguiti dalla professoressa Maria Maddalena Scagnelli e dalla sua scuola con strumenti tipici del tempo.

Infine, il consueto convegno, con le relazioni di specialisti della materia musicale, ben presente nel sapere enciclopedico dell’eclettico monaco calabrese che, tre secoli dopo Agostino, approfondì nei suoi scritti la Scientia bene modulandi. Presenti agli eventi, oltre a un folto pubblico, anche monsignor Antonio Staglianò, vescovo emerito di Noto e presidente della Pontificia Accademia di Teologia, e monsignor Francesco Milito, presidente emerito dell’Abei, l’Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani.

La motivazione del Premio

A leggere le motivazioni dei premi don Ponti che, per monsignor Delpini, comunica le ragioni di tale scelta dell’Associazione: «Teologo, patrologo, uomo di lettere, non lesina mai le sue forze per far giungere il Vangelo dove ce n’è bisogno e così dare una testimonianza viva a chi si forma per essere pastore o a chi già esercita questo ruolo nella comunità cristiana. Monsignor Delpini arriva sempre, a tutti e ovunque. Un po’ come Cassiodoro, che conosceva i territori che amministrava non per sentito dire, ma perché ci era stato. Plena est terra gloria eius, la terra è piena della sua gloria, recita il suo motto episcopale. È quanto preghiamo ogni volta che cantiamo il Sanctus, e con Cassiodoro esprimiamo la sete della Chiesa per il suo Salvatore, bramando di dissetarsi alla fonte dell’acqua viva che zampilla per la vita eterna».

L’intervento di monsignor Delpini (foto Enrique Dominguez)

 

Le parole dell’Arcivescovo

Ringraziando per il riconoscimento, l’Arcivescovo non ha voluto far mancare un suo breve intervento modulato, secondo l’immaginaria missiva – da lui letta – inviata da Cassiodoro a Minimo Mario Frontone, di cui nulla si sa se non che fu vescovo a Milano (chiamato solo “Frontone”), ma risiedette a Genova dal 571 al 573: «Mi unisco alla tua desolazione, fratello venerato, nel deprecare le condizioni miserevoli della Chiesa e le vicende drammatiche che tu stai vivendo, vescovo di Milano e lontano da Milano, per sfuggire alla minaccia di invasori senza religione e senza pietà, in esilio in una città ospitale, inquieto per l’incerto futuro. Tu pensi alla sede di Milano e al suo prestigio nei tempi in cui il vescovo Ambrogio ne era il pastore, venerato da tutti, ricercato come consigliere e guida dall’imperatore, maestro insuperato di sapienza e di virtù. E con ragione piangi sulla decadenza di cui sei testimone impotente e sulla tua condizione di vescovo insignificante, veramente minimo nel nome e nel fatto. Tu mi chiedi che cosa possa consigliarti io, dopo avere servito i grandi del mondo ed esserne stato deluso».

Chiara l’allusione a due realizzazioni pienamente legate alla nostra Chiesa e che ne portano persino il nome distintivo: la Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, voluta dal cardinale Federico Borromeo all’inizio del 1600, e il Rito Ambrosiano. «Non io – prosegue, infatti, Cassiodoro -, ma il Signore potrà guidarti in questo tempo di tribolazione e in primo luogo la parola delle Scritture e, in particolare, i Salmi ispirino la tua preghiera. La sapienza del tuo venerato predecessore Ambrogio e dei santi Padri, tra cui venero come primo maestro Agostino, potranno guidare la tua preghiera e consolare il tuo animo. E una forma liturgica veneranda e particolare potrà guidare il tuo celebrare secondo la tradizione della tua Chiesa, ora umiliata, ma un tempo gloriosa e in futuro chi sa: potrai pertanto ordinare la preghiera celebrata con un rito che potresti chiamare ambrosiano in onore del santo padre Ambrogio e per tenere vivo il suo edificante magistero» E poi l’Ambrosiana, istituzione particolarmente amata da monsignor Delpini: «Forse, se Dio ti farà grazia di tornare a Milano dopo questo triste esilio, potrai fondare una biblioteca non nella tranquillità di un monastero, ma nel cuore di una città, dove si incrociano strade e si incontrano viandanti e mercanti ed eserciti. Come potrà la moltitudine confusa diventare un popolo di civile convivenza? La lettura dei testi dei sapienti antichi e la bellezza dei nuovi libri possono ingentilire gli animi e coltivare una sapienza di pace».

Un modo, nemmeno così semplicemente scherzoso (d’altra parte Manzoni per i Promessi Sposi non utilizza lo stesso escamotage letterario?) per dire al presente e ai presenti, che la vera sapienza e la fede nel Signore, nella sua Parola, salvano, in ogni tempo, da guerre insensate e dalle ingiustizie.