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Rubrica

Arte, Storia & Cultura

Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Storia

Il beato Serafino e Alessandro Manzoni: la fede e l’umiltà che animano «I promessi sposi»

È la storia di un incontro. Uno era parroco di Chiuso, un piccolo paese alle porte di Lecco, amato da tutti per la sua fede, la sua umiltà, la sua carità. L’altro era il rampollo di una delle famiglie più illustri della zona, destinato a diventare una delle glorie della letteratura italiana grazie a un romanzo immortale: il sacerdote morì nel 1822, in fama di santità, proprio mentre lo scrittore stava lavorando alla prima stesura del suo capolavoro.

di Luca FRIGERIO

12 Ottobre 2023

Uno era parroco di un piccolo paese alle porte di Lecco, amato da tutti per la sua fede, la sua umiltà, la sua carità. L’altro era il rampollo di una delle famiglie più agiate e importanti della zona, scrittore e poeta, destinato a diventare una delle glorie della letteratura italiana grazie a un romanzo immortale. Stiamo parlando di don Serafino Morazzone, proclamato beato nel 2011, e di Alessandro Manzoni: il sacerdote morì nel 1822, in fama di santità, proprio mentre l’autore stava lavorando alla prima stesura del suo capolavoro che prenderà il titolo di I promessi sposi.

I due si conoscevano, questo è certo. Alessandro, nato a Milano nel 1785, visse la sua infanzia e parte della sua giovinezza nella villa del Caleotto a Lecco, proprietà della famiglia Manzoni da quattro generazioni. Don Serafino, di quasi trent’anni più vecchio rispetto allo scrittore, anch’egli originario di Milano, era giunto a Chiuso nel 1773 e vi rimase per tutta il resto della sua vita.

Per Manzoni gli anni lecchesi furono tribolati e difficili, per un clima famigliare tutt’altro che sereno, con i genitori che giunsero a separarsi e il piccolo Sandro sballottato tra collegi e istituti. Eppure proprio la natura e il paesaggio di questo ramo del Lago di Como dovettero imprimersi in modo indelebile nella mente e nel cuore dello scrittore, restituendoci nelle pagine de I promessi sposi delle descrizioni di commovente, indimenticabile bellezza.

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Achille Ratti, da prefetto della Biblioteca ambrosiana, avanzò l’ipotesi che il curato di Chiuso fosse stato anche il confessore del giovane Manzoni, sostenendolo e indirizzandolo, quindi, nel momento delicatissimo della sua conversione spirituale. E anche quando divenne papa col nome di Pio XI, dal Vaticano esortò gli studiosi ambrosiani a indagare in tal senso, cercando testimonianze e conferme che al momento non sono ancora emerse.

È accertato, invece, che il padre di Alessandro, Pietro Manzoni, che aveva terre e possedimenti anche a Chiuso, era priore della locale confraternita del Santissimo Sacramento e che in diverse circostanze si occupò, da fabbricierie, di questioni riguardanti la parrocchia lecchese. Fu in quelle occasioni, si ipotizza, che Sandrino, accompagnando il papà, avrebbe avuto modo di incontrare e conoscere don Serafino, rimanendo colpito dalla sua bontà e devozione, tornando poi a cercare la compagnia del santo sacerdote.

Di questo loro rapporto è giunto fino a noi un unico e prezioso documento. Una lettera che il curato di Chiuso scrisse a Manzoni attorno al 1811, per intercedere per un uomo di Pescarenico che era debitore di una forte somma, ma che «non potendo pagare per vari infortuni, abbisogna adesso di carità». Non sappiamo la risposta dello scrittore, ma da altre situazioni simili possiamo ben immaginare che la «carità» sia stata fatta e la richiesta accolta. Colpisce il fatto che quella missiva sia stata archiviata con una nota che recita: «Lettera di un curato santo», la cui scrittura non è quella di Manzoni, ma testimonia quale fosse la considerazione generale, già all’epoca, del parroco lecchese.

Ma più di tante congetture valgono le parole che Alessandro Manzoni stesso scrisse nel Fermo e Lucia, la prima stesura de I promessi sposi, a pochi mesi dalla morte di don Serafino Morazzone, in un ritratto che tracima affetto e ammirazione per un uomo di Dio che ha vissuto in maniera straordinaria la sua missione ordinaria. Leggiamo infatti: «Il curato di Chiuso era un uomo che avrebbe lasciato di sé una memoria illustre, se la virtù sola bastasse a dare la gloria fra gli uomini. Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l’amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale: la sua cura continua di fare il suo dovere, e la sua idea di dovere era: tutto il bene possibile…». E via narrando, in un crescendo di commozione: come una filiale riconoscenza.

Ci si chiede, da tempo, perché questo splendido omaggio alla memoria del beato Morazzone non abbia poi trovato spazio nella versione definitiva del romanzo manzoniano. Una risposta precisa non c’è, ma si può ipotizzare che lo scrittore abbia infine considerato che sarebbe stato anacronistico e poco verosimile inserire una figura contemporanea come don Serafino, conosciuta e amata da molti tra i famosi «venticinque lettori», in un’opera ambientata due secoli prima. Senza contare che questo «ritratto agiografico» andava in qualche modo a sovrapporsi al profilo che Manzoni tratteggia, in quello stesso contesto (cioè la conversione dell’Innominato), del cardinale Federico Borromeo.

Ma le stimmate di pietà e di umanità del parroco di Chiuso (che un altro beato, il cardinal Schuster, definiva il «novello Curato d’Ars») si ritrovano ovunque, ne I promessi sposi. Che sembrano perfino guidare e ispirare le pagine più intense e alte del romanzo, pur nel nascondimento e come nell’anonimato. Secondo lo spirito di umiltà che era proprio di don Serafino.

Il cardinal Scola visita il Museo del beato Serafino a Chiuso

A Chiuso il museo del Curato

Per conoscere la figura e l’epoca del beato Serafino Morazzone esistono diversi studi e pubblicazioni. Ma il consiglio è di recarsi sui luoghi stessi, ovvero a Chiuso (oggi quartiere meridionale della città di Lecco), presso l’antica chiesa di San Giovanni Battista dove visse e operò, tra il 1773 e il 1822, l’indimenticato curato. Qui, infatti, è stato realizzato un piccolo museo che conserva documenti, oggetti e testimonianze (tutte le informazioni sul sito del museo, tel. 0341.420050).