È un film che tocca le corde dei sentimenti più profondi, che interroga, che appassiona, che commuove e che toglie quel pernicioso velo di abitudine e di indifferenza che cala sul fenomeno migratorio. Io Capitano di Matteo Garrone, Leone d’argento per la regia alla Mostra del cinema di Venezia, premio del pubblico come miglior film europeo al Festival di San Sebastian (Spagna), designato per la corsa agli Oscar come miglior film internazionale, sta riscuotendo un grande favore da parte del pubblico. Non solamente gli adulti si stanno approcciando a questa pellicola, ma anche i più giovani, oltre agli operatori che si occupano di migranti e di accoglienza, e a persone giunte da altri Paesi.
Sono i giovanissimi che compiono il viaggio, i protagonisti di quella che lo stesso regista definisce l’epica odierna. Sono loro che, partendo dalla terra d’origine, fanno un viaggio di formazione, di cambiamento, purtroppo pericoloso e a volte dall’esito tragico. Il regista narra questo percorso – i protagonisti del film sono due adolescenti che lasciano il Senegal per raggiungere l’Europa, attraversando il deserto, conoscendo la crudeltà delle carceri libiche, lo sfruttamento, la violenza – ribaltando il punto di vista. «Questo film – ha spiegato Garrone, che lunedì 2 ottobre ha presentato la pellicola al Cinema Nuovo Aquilone di Lecco – si ancora a storie realmente accadute e i ragazzi sono stati di aiuto in fase di scrittura e di ripresa». «Col tempo – ha specificato – ci si abitua al fatto che coloro che sbarcano siano numeri. Ma dietro quei numeri ci sono nomi, desideri, famiglie».
«Far vedere senza speculare»
Il regista ha compiuto la scelta di girare in presa diretta, lasciando la lingua originale parlata dai protagonisti, con i sottotitoli, immergendo lo spettatore nel dipanarsi di questa vicenda umana e universale, tragica, ma venata di sogni e di speranze. «Questo film mi regala grandissime soddisfazioni – ha aggiunto -. Incontro un pubblico che si innamora di questi personaggi e mi trasmette un grande calore”.
In questa «Odissea contemporanea», come la definisce Garrone, Seydou e Moussa vivono i sensi di colpa di non aver dato ascolto a chi li metteva in guardia dal partire, convivono con la fatica di fare i conti con l’impossibilità di aiutarsi, si scontrano con la crudeltà di altri uomini, ma intrecciano anche legami forti, sulla loro pelle e nei loro occhi passano desideri grandi di realizzazione e la linfa vitale dell’amicizia e dell’affetto sincero. Pur mostrando le violenze subite dai migranti in Libia, Garrone non indugia su queste immagini e utilizza registri onirici ed evocativi: «Ho cercato di far vedere senza speculare, per non usare la violenza in modo forte. L’ho fatto attraverso gli occhi di Seydou».
Come a Lecco, così in altre città, numerosi adolescenti giungono alle proiezioni: «Sono felice che questo film venga visto da molti ragazzi. Verrà proiettato anche nelle scuole e penso che questi giovani avranno la possibilità di vedere dei loro coetanei fare questo viaggio e cercare di combattere contro l’ingiustizia di non poter viaggiare liberamente. Questo forse potrà aiutare a sensibilizzare i ragazzi, anche semplicemente sul fatto che dei loro coetanei possano viaggiare liberamente. Mi auguro che si possa riflettere proprio su questa ingiustizia fondamentale. Sono convinto anche che i giovani spettatori potranno identificarsi in questi personaggi perché questo film è un grande racconto di avventura e quando lo giravo pensavo molto ai giovani, a quando lo avessero visto nelle scuole».
La riflessione di Garrone va oltre: «Penso molto a quando sarà visto in Africa dai giovani. Sarà interessante vedere che reazioni avranno e se potrà essere di aiuto, se potrà essere un monito per evitare che facciano questo viaggio in questo modo. Perché è lecito partire per inseguire un sogno». Ma non a costo della vita.