Con l’avanzare dell’età può capitare che l’ispirazione si inaridisca, che la pigrizia porti a ripetere modelli collaudati, che per il quieto vivere ci si rifugi in proposte rassicuranti. Non è il caso di Alessandro Nastasio. Che alle soglie dei 90 anni – lui è della classe 1934 – continua instancabilmente a creare e produrre, cose nuove e diverse, originali e sorprendenti: provocatorie, perfino. Il suo segreto? La passione. Per la vita, prima ancora che per l’arte. Che poi, per lui, sono in fondo la stessa cosa.
I nostri lettori conoscono bene il nome di Nastasio. Perché l’artista milanese è amico di lunga data della stampa diocesana, e da molti anni ormai a Natale e a Pasqua, come anche in altre occasioni particolari, ci omaggia di una sua opera inedita. Ma in realtà la sua firma è una delle più note e apprezzate del panorama artistico contemporaneo, anche internazionale. Merito di un’intensa e proficua attività – «carriera», si potrebbe dire, ma l’interessato non gradirebbe – che ha attraversato la seconda metà del Novecento arrivando fino ai nostri giorni, tra committenze pubbliche e private, lavori sacri e profani, ma sempre di forte impegno.
Dopo numerosi riconoscimenti, oggi è Regione Lombardia a celebrare Alessandro Nastasio con un’ampia mostra antologica presso lo Spazio eventi di Palazzo Pirelli a Milano, in corso fino al prossimo 5 ottobre. Il titolo, «La ricerca del vero e del bello», riassume bene il lungo percorso artistico di quest’uomo solare e curioso, capace di impastare colori e ironia, fondendo filosofia e teologia, plasmando umanesimo e utopia.
Come un moderno maestro rinascimentale, infatti, Nastasio in oltre settant’anni di artistica laboriosità si è cimentato con le tecniche più diverse, dalla pittura all’incisione, dall’intaglio al disegno, spesso divertendosi a «mischiare» materiali e forme differenti per ottenere effetti insoliti e risultati inattesi. Così Alessandro da Milano, con segno personalissimo, ha cercato di dare corpo e immagine alle emozioni più profonde, ai sentimenti più intimi, alle verità nascoste: secondo la sua sensibilità, certo, ma dando voce anche a questo nostro tempo, così confuso, così smarrito, così bisognoso di una parola di speranza.
Ancora adolescente è stato allievo di Kodra. Poi ha lavorato con Figini e Salvadori, insieme a Sarra e a Purificato, confrontandosi con Fabbri, Manzù, Marini, Minguzzi e gli altri protagonisti della scena artistica italiana negli anni Sessanta e Settanta. Mostrando il suo talento in rassegne ed esposizioni, in Italia e all’estero, e offrendo quindi la sua esperienza in molti anni di insegnamento, all’Accademia di Brera e in vari istituti d’arte. Le sue opere, oggi, sono in importanti collezioni private, ma anche nelle piazze e nelle chiese di tante città, in tutto il mondo.
Lo sguardo divertito, la battuta pronta, Nastasio è un giovanotto dalla barba bianca che gioca spesso, ma senza prendere in giro nessuno. Tutt’altro. Il suo è un serio ludere, come dicevano gli antichi. Un divertissement per raccontare questioni importanti con tono leggero, un espediente per andare al fondo delle cose senza sentirsi oppressi dall’abisso in cui ci si sta calando.
Un esempio, tra i tanti? I suoi «Alfabeti». Ci sono parole che lasciano il segno, che plasmano il vivere. E parole inutili, vuote, più inconsistenti del fumo. Nastasio ci mostra l’«Alfabeto celeste», che poggia su piedi torniti, di biblica memoria: i calcagni che calpestano la serpe, simbolo di malvagità, mentre si alza la preghiera, un’invocazione che sale fino al cielo, rosario di mormorate parole. Diverso, opposto, contrario è invece l’«Alfabeto logoro»: qui nulla si eleva, ma le lettere precipitano in una melassa collosa, si disfano, si liquefanno. Parole prive di significato, destituite di senso. Parole in libertà, a nascondere l’inconsistenza mentale, il nulla interiore.
E poi c’è un’altra Parola, quella sacra, quella divina, che è spesso protagonista delle opere di Nastasio, affascinato dalle pagine bibliche (il Qoèlet, il Cantico dei cantici e i Vangeli, soprattutto), che ha avuto come compagno di ricerca anche il cardinal Ravasi.
«Da sempre cerco la Luce, e mi pare di vederla, ma così come si vede il sole fra i rami scuri di un albero», ci ha confidato ancora recentemente. Dicendoci, Nastasio, di sentirsi come uno di quei «naufraghi» che ha raffigurato così spesso nelle sue opere: condizione esistenziale, peraltro, comune a tutti gli uomini. «Ma sono un naufrago – ha aggiunto – che vuole aggrapparsi a quella zattera che è Cristo. Ecco, forse la chiave di tutto sta nell’Incarnazione del Verbo che ha permesso all’Invisibile di rendersi visibile, nel molteplice che si ricongiunge nell’Uno. Vero uomo e vero Dio è il volto di Cristo che cerco. Dipingendolo come in uno specchio, con tutti i miei limiti, come un accattone che raccoglie briciole di Bellezza». Buon lavoro, maestro.
La mostra a Palazzo Pirelli (ingresso da via Fabio Filzi 22) è aperta al pubblico fino al 5 ottobre con i seguenti orari: dal lunedì al giovedì 9.30-13.30 e 14.30-17, con ultimo ingresso alle ore 16.30; venerdì solo mattina, ultimo ingresso ore 12.30.