Circa 130 delegati, in rappresentanza delle Caritas decanali dell’intera diocesi. Richiamati al Centro pastorale ambrosiano di Seveso dall’annuale convegno, dedicato quest’anno al tema Stupiti dall’umanità di Gesù. A servizio dei poveri, dentro un mondo che cambia. Impegnati per l’intera giornata di sabato 16 settembre nell’ascolto di testimonianze e relazioni e nel confronto di gruppo sulle prospettive dell’anno pastorale che è ai suoi inizi.
Alla platea dei responsabili territoriali Caritas – dopo il coinvolgente intervento della sociologa Chiara Giaccardi, orientato a delineare le contraddizioni del nostro “tempo entropico”, ma anche le opportunità squadernate dal metodo della «cura come grazia, che modifica un sistema malato e dà forma alla realtà» – si è rivolto l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, presentando Viviamo di una vita ricevuta, la Proposta pastorale della diocesi 2023-2024. «Io sono partito dalla percezione che la società occidentale – ha spiegato l’arcivescovo – non ama la vita, e addirittura per molti aspetti sembra che voglia morire. L’origine di questa deriva è l’individualismo, il pensiero o la cultura che erigono l’individuo a misura della realtà».
I cristiani hanno qualcosa da dire per contrastare la tendenza al suicidio di una civiltà nata dal cristianesimo? «La leva fondamentale della risposta – ha spiegato Delpini – non è il volontarismo, una generica “buona” volontà, ma il riconoscimento, come dico sin dal titolo, che viviamo di una vita ricevuta. La vita è vocazione, non una carriera, non una disgrazia, non un’affermazione di libertà scevra da legami».
Avendo questa consapevolezza originaria, ha sostenuto l’arcivescovo, «l’ho applicata ad alcuni ambiti in cui mi sembra più urgente una visione della vita come vocazione: l’educazione alla sessualità e alla affettività degli adolescenti e dei giovani, i temi della fedeltà nel matrimonio e della generazione dei figli, la grande sfida del lavoro come compimento della dignità della persona, la frontiera di una pace fondata sulla fraternità», non sull’equilibrio di forze, di risorse, di poteri.
La proposta pastorale, ha indicato Delpini, non è per un anno soltanto, ma è un «programma per gli anni a venire. Voi – ha detto il vescovo ai delegati Caritas – siete la testimonianza di come questi temi siano assunti con convinzione dalla Chiesa. Invece i cristiani, generalmente, sono tentati di reticenza, intimoriti dall’aria che tira, ispirata dall’individualismo imperante. La verità merita invece di essere testimoniata, con lo stile di Gesù, che non è uno stile da crociata, ma di dialogo e comprensione».
Cosa chiede alla Caritas, in questa prospettiva, l’arcivescovo? «Di essere Caritas. Puntando anzitutto non sull’operosità come valore in sé, non sul fare il bene per il solo bene, ma sul principio della gratitudine per la vita ricevuta, riconoscendo e testimoniando che viene da Dio. Ciò porta a superare anche la tristezza che alle volte coglie anche chi fa il bene: siamo chiamati alla fiducia, dobbiamo essere convinti del valore antisistemico del gesto minimo. Vorrei insomma chiedervi di ribadire la visione della vita come dono ricevuto, strutturata come vocazione, proveniente da Dio, orientata a Dio».
Popolo della speranza, di una speranza condivisa: «Siamo chiamati a essere questo – ha concluso Delpini -, una responsabilità che ciascuno deve affrontare secondo le proprie competenze e i propri ruoli nella società. Caritas deve dunque farsi carico di alcuni impegni specifici: la dignità nel lavoro, la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, l’accoglienza di ogni uomo, l’educazione dei giovani».