Ne conosciamo tante, di storie di immigrazione. Spesso tragiche, drammatiche e dolorose. Abbiamo letto e visto servizi televisivi, documentari e magari pure al cinema. Questa volta Matteo Garrone (regista di Gomorra e Pinocchio), con lo stile che lo contraddistingue porta una di queste vicende sul grande schermo. La pellicola è frutto di ricerca e ascolto, grazie anche alla testimonianza del meditatore culturale Mamadouh Kouassi, approdato in Europa dopo un terribile viaggio.
Io capitano narra la vicenda di due cugini senegalesi, Seydou e Moussa (attori emergenti fantastici), che da sedicenni decidono in segreto di intraprendere il viaggio verso l’Europa, per realizzare i loro desideri. Da un Paese povero a uno ricco, ma (attenzione!) non è la disperazione che li muove, piuttosto il sogno (la parte inziale che descrive la vita dei due in Senegal è colorata, festosa… bella!). L’aspirazione pare infatti l’altro protagonista del film, attraverso inserti poetici e fantastici – tipici del cineasta romano – che riescono a dare quel tocco di speranza nella drammaticità della storia.
Un racconto di formazione, più che di denuncia, che spinge lo sguardo dello spettatore abituato (assuefatto?) ad ascoltare il resoconto dei numeri e degli sbarchi, a ricordare come dietro ai freddi dati ci sono volti, aspirazioni, vite che somigliano molto alle nostre. I diritti sono sì negati dentro l’odissea di un viaggio che tutto «stravolge», tranne «la caparbietà» di potercela fare. Il lungometraggio non manca certo della realtà terribile e violenta, ma trasuda una umanità che ci ricorda come in questo mondo tutti siamo simili; alcuni sono però semplicemente più fortunati perché nati in condizioni migliori.
Io capitano esce nelle sale in lingua originale sottotitolato (giustamente), ma l’eventuale fatica del pubblico sarà ampiamente ricompensata da uno dei film più potenti della Mostra di Venezia. Assolutamente da vedere.