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Anniversario

Gaston de Foix e la sua mirabile tomba incompiuta

Una storia di 500 anni fa, che ha come protagonista il giovane comandante francese e uno dei più grandi scultori dell'epoca: Agostino Busti detto il Bambaia. Il monumento è stato smembrato, ma molti dei pezzi più significativi sono rimasti a Milano, tra il Museo del Castello Sforzesco e la Pinacoteca Ambrosiana.

di Luca FRIGERIO

13 Luglio 2023

Fu forse nell’estate del 1523 che Agostino Busti detto il Bambaia si rassegnò all’idea che il suo capolavoro, il monumento funebre a Gaston de Foix, non sarebbe stato completato. Ci immaginiamo lo scultore gettare uno sguardo accorato ai marmi scolpiti, alle lastre appena sbozzate, alle figure degli Apostoli e delle virtù e a quella, nobilissima, del giovane principe guerriero, giacente nel sonno della morte e nella penombra della chiesa di Santa Marta a Milano. E mentre la sua mano sfiorava ancora una volta quelle superfici levigate e lucidissime, pensava, chissà, a quanto era stata grandiosa e sventurata quell’impresa a cui era stato chiamato.

Gaston de Foix era un principe di Francia. Nipote del re, duca di Nemours, signore di Navarra, poco più che adolescente era stato messo a capo dell’esercito del giglio: non per nepotismo, ma perché era il più coraggioso di tutti. «Folgore», lo chiamavano. Brillante, munifico, spietato, in Italia aveva guidato i francesi alla vittoria contro la Lega Santa, sconfiggendo ovunque spagnoli, veneziani, imperiali, pontifici. Anche nella terribile battaglia di Ravenna, l’11 aprile del 1512, aveva trionfato alla testa dei suoi cavalieri: ma, spavaldo come sempre, nell’inseguire i nemici in fuga era stato colpito e ucciso.

Il dio della guerra era morto a 23 anni. A Milano, nel Duomo, gli furono tributati i funerali più solenni di sempre. Gli svizzeri avevano poi oltraggiato le sue spoglie, ma quando i francesi riconquistarono la città, dopo la battaglia di Marignano, decisero di onorare Gaston con un sepolcro degno di un imperatore. O di un papa. Da erigersi, però, non nella cattedrale, ma nella nuovissima chiesa delle agostiniane, monastero prediletto dall’aristocrazia milanese, cenacolo splendente di cultura e di spiritualità.

Promotore di tutto fu il nuovo governatore di Milano, Odet de Foix, signore di Lautrec, cugino di Gaston. Il progetto, tuttavia, era talmente importante che il committente fu il re di Francia in persona, Francesco I. Che pretese il miglior scultore sulla piazza milanese: il Bambaia, appunto. Un artista che allora godeva di fama amplissima, anche se ai nostri giorni sembra esserne giunta solo una debole eco.

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Agostino Busti era originario di Busto Arsizio, dove nacque nel 1483. A 30 anni era uno dei maestri della Fabbrica del Duomo, ed è lì che lo raggiunse la chiamata per la tomba di Gaston de Foix. Ma quale sia stata la sua formazione e la sua attività precedente possiamo solo supporlo: di certo era erede e continuatore della grande scuola scultorea lombarda, con viaggi studio anche a Venezia e a Roma.

Nella Città eterna, in particolare, il Bambaia dovette recarsi insieme a Leonardo, come si evincerebbe da alcuni appunti vinciani, a dimostrare una frequentazione della sua cerchia e perfino un suo discepolato. E nell’Urbe Agostino ebbe modo di studiare i contemporanei, come Michelangelo Buonarroti, ma soprattutto gli antichi, dai quali si sentiva irresistibilmente attratto.

Nel 1517 i lavori per il sepolcro di Gaston de Foix erano in pieno fermento. Di fatto la chiesa di Santa Marta era diventata un cantiere, polveroso e rumoroso, ingombro di marmi, fatti arrivare da Candoglia, direttamente dalla cava del Duomo. Bambaia lavorava e sovrintendeva, ma aveva chiesto come aiuti diversi suoi colleghi impegnati nella fabbrica della cattedrale.

Poi il crollo, improvviso, anche se forse non imprevisto. Nel 1521 i francesi furono nuovamente cacciati da Milano, che gli spagnoli riconsegnarono al figlio minore di Ludovico il Moro, Francesco II Sforza. E anche il sepolcro di Gaston de Foix venne dunque abbandonato, incompleto, non ancora assemblato. Con i pezzi mirabili a far gola a collezionisti e amatori, soprattutto dopo la soppressione della chiesa di Santa Marta, che venne chiusa nel 1806 e poi demolita per far posto all’odierna piazza Mentana. Così che oggi le parti di quel monumento incompiuto sono disperse tra Londra e Madrid, anche se il nucleo più importante, per fortuna, è rimasto a Milano, patrimonio delle civiche raccolte del Castello sforzesco e della Pinacoteca Ambrosiana.

Un triste destino compianto anche dal Vasari, che meno di trent’anni dopo quei fatti era venuto a Milano per vedere con i suoi occhi il capolavoro del Bambaia. «Ell’è tale quest’opera – scrisse infatti nelle sue Vite – che mirandola stetti un pezzo pensando se è possibile che si facciano con mano e con ferri si sottili e maravigliose opere, fatti con stupendissimo intaglio, fregiature di trofei, d’arme di tutte le sorti… E certo è un peccato che quest’opera, la quale è degnissima di essere annoverata fra le più stupende dell’arte, sia imperfetta e lasciata stare per terra a pezzi, onde non mi meraviglio che ne siano state rubate alcune figure e poi vendute e poste in altri luoghi».