«Vi scongiuro sosteniamoci lungo questo cammino». Termina così la sua prima omelia da arcivescovo di Milano. Sul pulpito di un Duomo affollatissimo, il cardinale Angelo Scola aggiunge a braccio queste parole che dicono molto sulla necessità di un coinvolgimento corale di tutta la diocesi accanto al nuovo pastore.
Un’omelia essenziale (solo 21 minuti e mezzo), ma densa di indicazioni su quello che sarà l’episcopato di Scola. E il nucleo principale della sua riflessione parte proprio da un grande predecessore diventato Papa. Scola indica l’esempio di quello che ha detto e fatto Giovanni Battista Montini, in particolare con la Missione di Milano nel 1957, partendo da una «lucida e profetica diagnosi sullo stato della vita cristiana nei battezzati. Scriveva già nel 1934, ben prima di diventare vescovo: “Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea”. Nel giovane Montini era ben chiara una convinzione: un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana degli uomini, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di comunicarsi. Da qui il processo che avrebbe portato inesorabilmente alla separazione tra la fede e la vita cui il magistero di Paolo VI fece spesso riferimento e avrebbe condotto al massiccio abbandono della pratica cristiana con grave detrimento per la vita personale e comunitaria della Chiesa e della società civile».
Da qui il rilancio del messaggio di quell’esperienza così intensa di “nuovo annuncio” nella città secolarizzata. «Fin da ora voglio ripetere a tutti gli abitanti della diocesi l’invito dell’arcivescovo Montini – dice Scola – “Se non vi abbiamo compresi … se non siamo stati capaci di ascoltarvi come si doveva, [oggi] vi invitiamo: “Venite ed ascoltate”» (Lettera di indizione della Missione cittadina). Tuttavia, come già fu per la missione montiniana, questo “Venite ed ascoltate” presuppone da parte dei cristiani un andare, un rendersi vicini agli uomini e alle donne in tutti gli ambiti della loro esistenza. Gesù stesso poté dire ai due discepoli del Battista che gli chiedevano di diventare suoi familiari “Venite e vedrete” (cf. Gv 1,39), perché con la Sua missione andava verso l’uomo concreto, per condividerne in tutto la condizione e il bisogno».
Una fede costruita sulla roccia, con Cristo al centro, è la scelta che fa «l’uomo saggio»: «Alla conclusione del Discorso del Monte – continua Scola – Gesù parla delle beatitudini e contrappone l’ “uomo saggio” all’“uomo stolto”. Conviene riflettereun poco su questi due opposti tipi umani. La differenza tra loro si gioca tutta su una questione tanto semplice quanto impegnativa. Anche noi, sofisticati uomini del terzo millennio, siamo messi di fronte all’inevitabile alternativa: costruisce sulla roccia “chi ascolta le parole di Gesù e le mette in pratica”; mentre “chi ascolta le parole ma non le mette in pratica”, edifica sulla sabbia. Il primo ha davanti a sé un futuro, il secondo è inesorabilmente destinato a una “grande rovina”».
Quale ruolo, dunque, del cristiano? Intanto non è «un alienato. Anche se non è di questo mondo, egli è pienamente nel mondo. Lo abita lasciandosi abbracciare da Gesù, «centro del cosmo e della storia» (Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 1). Egli edifica in tal modo la propria casa sulla roccia, sull’amore oggettivo ed effettivo. Nel dono totale di sé, reso possibile dalla sequela di Gesù, la vita fiorisce».
«L’uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia tocca con mano che il seguire questi orientamenti dilata il cuore – prosegue il Cardinale -. Diviene così testimone. Per comunicarsi agli uomini Cristo ha voluto avere bisogno degli uomini, di testimoni. Egli ha deciso di aver bisogno di me, di te, di ciascuno di noi. Qui sta la meraviglia della grazia di Cristo che esalta l’umana libertà».
Dalle Scritture emergono «tre preziosi orientamenti per la vita nuova in Cristo: una tensione indomita a fare il bene ed evitare il male; la pratica del culto cristiano, il culto umanamente conveniente (cf. Rom 12,1-2), che consiste nell’offerta di sé, autentica esperienza del bell’amore (cf. Sir 24,18); la decisa assunzione degli obblighi sociali, attraverso l’esercizio delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza».
E infine quale ruolo avrà il vescovo? «Siete convenuti qui oggi, da ogni parte della nostra vasta diocesi, per accogliere il nuovo pastore. Con semplicità permettetemi di far mie le parole della Lettera agli Ebrei: “Obbedite ai vostri capi, state loro sottomessi – queste parole a prima vista ostiche, se messe a riparo dai nostri limiti, dicono libertà – perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi” (Seconda Lettura, Eb 13,17-18). Ho bisogno di voi, di tutti voi, per poter svolgere nella gioia e non nel lamento questo gravoso compito, di cui – ne sono ben consapevole – dovrò render conto. Per questo cercherò di far mie le parole che il Santo Padre ha rivolto a me e ai Vescovi ausiliari mercoledì scorso consegnandomi il pallio: “L’Arcivescovo viene da Milano e tutto il suo cuore sarà per Milano”».