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Stato civile

Il Comune di Milano e il bambino con due padri

La maternità surrogata e la dignità della donna al centro del dibattito

26 Novembre 2018
Palazzo Marino, sede del Comune di Milano

Ha suscitato attenzione, ed una certa fibrillazione nella maggioranza al governo della Città di Milano, la questione della trascrizione (ovverosia il riconoscimento giuridico) nei registri dello stato civile del Comune di Milano degli atti di nascita, formati all’estero e secondo le leggi di uno Stato estero, attestanti la nascita di un bambino da due padri (e nessuna madre), a seguito di “maternità surrogata”.

Prima di affrontare la questione specifica, è bene ricordare che la maternità surrogata (nota, anche, come gestazione per altri o affitto d’utero) è la pratica che si realizza mediante un contratto, in forza del quale una donna si obbliga a provvedere alla gestazione ed al parto di uno o più figli, per conto di una coppia o di un singolo individuo, cui si obbliga a consegnare il neonato (o i neonati) subito dopo la nascita.

Si tratta di una pratica vietata in Italia, così come in molti altri Stati europei. In particolare, l’articolo 12, comma 6, della legge numero 40 del 2004 dispone che chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro, tanto che la Corte Costituzionale (nella sentenza numero 272 del 2017) ha sottolineato «l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale».

Tuttavia, lo sviluppo delle tecniche procreative e la globalizzazione hanno portato alla creazione di un mercato dell’affitto d’utero (il cui giro d’affari è stimato in diversi miliardi di euro), consentito dalle legislazioni di Stati che permettono la maternità surrogata.

Così, il divieto posto dalla legge italiana viene eluso, recandosi all’estero (laddove la maternità surrogata è consentita) per ottenere un neonato mediante maternità surrogata, unitamente all’atto di nascita che – redatto secondo la legge di quello Stato estero – attesta che i genitori del neonato sono coloro i quali hanno commissionato la maternità surrogata. Di tale atto viene, poi, chiesta la trascrizione in Italia.

Sorge, allora, la questione – oggetto del dibattito – se tali atti di nascita (ottenuti mediante un’operazione che la Procura della Repubblica di Roma non ha esitato a definire una “frode alla legge”) possano essere trascritti o meno in Italia nei registri dello stato civile. Prima di affrontare il merito della questione, bisogna sottolineare come essa non riguardi la possibilità, o meno, per le coppie omosessuali di diventare genitori, bensì il riconoscimento giuridico e, quindi, l’avallo di una pratica che è vietata in Italia e che, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza già citata, «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

I committenti della maternità surrogata, infatti, sono single o coppie, tanto eterosessuali quanto omosessuali. Benché i casi sorgano con riferimento a coppie omosessuali, in particolare di uomini (posto che la filiazione di due padri non può che realizzarsi mediante maternità surrogata), in realtà la maggioranza dei committenti di maternità surrogata sono coppie eterosessuali (che, tuttavia, riescono a meglio dissimulare l’esecuzione della pratica). Pertanto, quando si afferma la non trascrivibilità degli atti di nascita da maternità surrogata, essa vale per tutti i casi, a prescindere da chi siano i committenti e dal loro orientamento sessuale.

In materia, la legge italiana (articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica numero 396 del 2000) dispone che: «Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico». Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, avendo affermato che il divieto, penalmente sanzionato, di maternità surrogata risponde ad un interesse pubblico di protezione della donna e del bambino, ha ritenuto legittime le misure che mirano a scoraggiare i cittadini di uno Stato che vieta la maternità surrogata ad effettuarla all’estero, tra cui il rifiuto di trascrivere gli atti di nascita relativi a maternità surrogata.

A livello giurisprudenziale italiano, ci sono orientamenti diversi circa la trascrivibilità o meno in Italia degli atti di nascita da maternità surrogata formati all’estero, a seconda del concetto di ordine pubblico che viene sposato dal giudice. Anche per fornire una linea interpretativa univoca, le sezioni unite della Corte di Cassazione (il massimo organo giudiziario italiano) sono state investite della questione e si attende a breve la pubblicazione della decisione.

Nell’attesa di tale pronuncia, sarebbe opportuno attenersi ad un principio di precauzione, evitando la trascrizione di atti che un domani potrebbero essere riconosciuti contrari all’ordine pubblico.

Di là da tali ragioni di carattere giuridico, non ci si può non soffermare su una valutazione di carattere generale. È noto che, anche laddove una legge straniera permette solo la cosiddetta maternità surrogata “altruistica”, la gestante non riceve un prezzo per l’affitto dell’utero, ma riceve, comunque, un significativo rimborso spese. Inoltre, le strutture sanitarie coinvolte vengono remunerate e sono realtà for-profit. La maternità surrogata, quindi, non è una libera scelta della gestante, ma quasi sempre dipende da necessità economiche, e rientra in logiche di mercato.

Vietare la maternità surrogata (ed impedire che il divieto nazionale venga eluso nei modi prima descritti) serve a tutelare quel diritto di civiltà, faticosamente acquisito in Occidente nel corso dei secoli, secondo cui il corpo umano costituisce una dimensione inalienabile della persona, che non può mai essere oggetto di atti di disposizione che lo asserviscano alle esigenze di un’altra, tantomeno a scopo di lucro. Risponde, inoltre, all’esigenza di impedire la formazione di un “proletariato riproduttivo”, oggetto di sfruttamento e contrario alla dignità della donna.

È, dunque, perlomeno curioso che forze politiche progressiste vogliano permettere o, quanto meno, non ostacolare la maternità surrogata, che, in nome di una libertà senza limiti ed in una logica di mercato, sacrifica la dignità della donna ed il principio di indisponibilità del corpo. Ben venga, allora, un dibattito in Consiglio comunale (ed anche al di fuori di esso), nel quale si prendano in attenta considerazione tutti i valori in gioco.

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