Inizia, con una mattinata intensa e ricca di gesti simbolici, la prima Visita pastorale dell’Arcivescovo. Visita voluta, annunciata nella Lettera pastorale, indetta l’8 settembre scorso. Visita che è tra i doveri specifici di un Vescovo, come si dice nel “Direttorio” del loro Ministero e che il Pastore di Milano ha scritto di sentire «congeniale» alle sue attitudini. E ben lo si vede e lo si comprende subito, seguendo i vari momenti in cui si articola la Visita al Decanato di Trezzo (in Zona pastorale VI), per cui si è scelta la Comunità pastorale “San Gaetano di Thiene” che riunisce Trezzo sull’Adda e Concesa. E proprio da questo piccolo borgo prende avvio la Visita, di prima mattina, con la preghiera al cimitero dove, ad accogliere il Vescovo, ci sono il decano e responsabile della Comunità pastorale, don Alberto Cereda, e un nutrito gruppo di 18-19enni, cresciuti insieme in oratorio e ora riuniti dal dolore per la prematura scomparsa di uno di loro, Federico.
Poi, la Celebrazione che l’Arcivescovo presiede nella chiesa di Santa Maria Assunta – qui il benvenuto arriva dai ragazzi dell’Iniziazione cristiana – e alla fine della Messa, la consegna della “Regola di vita ai nonni” e l’incontro con i chierichetti.
Programma, questo, che viene proposto anche i fedeli di Trezzo che affollano l’antica Collegiata prepositurale dei Santi Martiti Gervaso e Protaso. Infatti, seppure in una logica attenta al Decanato, la Visita è di respiro parrocchiale.
I ragazzi della Catechesi che frequentano dalla seconda alla quinta Elementare e gli adolescenti delle Medie con gli educatori, i genitori, gli insegnanti e i catechisti sono schierati dietro un grande striscione di benvenuto; ci sono il Vicario episcopale di Zona, monsignor Michele Elli e le autorità militari e civili, tra cui il sindaco, Danilo Villa con alcuni assessori.
I gesti significativi dell’aspersione dell’assemblea con l’acqua benedetta e dell’accensione della lampada per le vocazioni introducono la Messa.
«Qui è casa sua», dice don Cereda a cui risponde subito l’Arcivescovo che fu Vicario episcopale proprio della Zona VI: «Sono tanti i motivi che mi fanno sentire a casa, qui a Trezzo, per le molte persone che vi ho conosciuto come i sacerdoti di queste parrocchie e don Silvano Caccia (originario di Trezzo e scomparso tragicamente nel 2009).
L’omelia dell’Arcivescovo
«Sono venuto a visitarvi per domandarci quale sia il sentiero della vita e dove stiamo andando», spiega, aprendo a sua omelia, il vescovo Mario. «Si possono leggere i tempi in cui viviamo con lo sguardo scoraggiato e impaurito che sembra così abituale nel nostro tempo. Forse ogni generazione può avere l’impressione che i problemi siano insolubili e dire, per la propria epoca, ciò che scrive il profeta Daniele: “Un tempo di angoscia come non c’era mai stato”. Ma non i cristiani che, per rispondere alle domande sul presente e sul futuro, non possono dipendere dalle notizie di cronaca e dalle lamentele. Per interpretare il nostro tempo non abbiamo altro che la parola del Signore. È questa la parola affidabile che rimane, che non è di moda, che non accontenta le aspettative immediate e che dobbiamo imparare ad ascoltare perché la Chiesa non è una specie di comunità impaurita che si rinchiude nella cittadella assediata. La Chiesa è il popolo in cammino che attraversa anche il deserto, che è perseverante nelle prove e nei momenti difficili perché si affida alla Parola di Dio. Quella che viene proposta nella Celebrazione eucaristica, si fa momento di lectio e di incontro, che non è soltanto un messaggio da imparare, una legge da osservare, ma è parola che chiama e incita a seguire il Signore, vocazione a essere come Gesù.
Siamo un popolo in cammino, non perché sogniamo qualche isola fantastica, ma perché siamo dentro la storia obbedendo alla Parola di Dio e, perciò, vivendo la nostra vocazione».
Una vita e un modo di abitare il presente e di penare al domani che «non si lascia prendere dallo spavento perché il Signore è presente nell’Eucaristia», scandisce ancora l’Arcivescovo. «Per questo sentiamo la necessità di partecipare alla Messa domenicale e, se si può, anche a quella feriale». Anche in questo caso, «non un precetto da osservare», ma una fame, un’aspettativa di comunione, «un bisogno di Gesù come presenza amica, pane della vita che ci fa diventare un solo corpo e un solo spirito, fortezza a cui aggrapparci, ciò che deve dare ritmo alla vita cristiana e alla nostra settimana».
Da qui, la consegna ai fedeli: «Mentre la tendenza comune sembra spingere allo scoraggiamento i cristiani cercano gli indizi della vicinanza di Gesù, le “foglie nuove” che la annunciano. Cerchiamo insieme i germogli, come popolo fatto di tante persone: non un esercito, ma un popolo di figli che si sentono tutti corresponsabili delle scelte».
Il richiamo è al successivo incontro con il Consiglio pastorale, «segno della Chiesa sinodale» come chiede papa Francesco.
Ma quali sono questi segni?
«Se questo è un tempo di angoscia, i germogli saranno i sorrisi, la gioia dei cristiani: coltivateli, siate seminatori di sorrisi, testimoni di gioia, testimoni di letizia invincibile. Se questo è un tempo di solitudini, saranno i gesti del buon vicinato, della prossimità, di una vita condivisa, di una comunità che si riconosce un cuor solo e un’anima sola: siate una comunità unita nel nome del Signore.
E se questo è un tempo di smarrimento e di incertezza, in cui i giovani guardando al futuro si sentono indecisi, i germogli saranno questi giovani stessi che comprendono che loro vita è una vocazione e che, quindi, non sono soli; che possono essere coraggiosi nel decidere perché sanno che è il Signore che li chiama alla pienezza della vita. Siate persone che rispondono con gioia alla vocazione.
Se questo è un tempo di individualismo, in cui ciascuno pensa di salvarsi perché si isola e perché pensa soltanto a se stesso, i germogli saranno le forme della condivisione e della corresponsabilità, dell’impegno per il bene comune, per costruire e servire la comunità. I germogli saranno coloro che fanno di questo servizio il loro atteggiamento ordinario. I cristiani hanno qualcosa da dire anche su come debba essere amministrata la città, su quali visioni di futuro si devono coltivare insieme, su come si possa convergere, pur avendo idee e tradizioni diverse, in un desiderio comune di felicità, di benessere, di aiuto vicendevole».
E, ancora, «se questo sembra un tempo vecchio e stanco e di declino per la civiltà occidentale, i germogli saranno le famiglie che accolgono il dono dei figli, i genitori che educano alla speranza e all’impegno. Siate famiglie capaci di fecondità e di speranza, adulti capaci di consegnare ai giovani una visione responsabile e fiduciosa della vita. Adulti che vivono con impegno quotidiano, onestà rigorosa, laboriosità generosa. Siate germogli di questa società che vuole ringiovanire, che non teme le novità e il futuro».
«La Visita pastorale è un’occasione per ricordare le cose essenziali, per dire che dobbiamo ascoltare la Parola di Dio che indica il sentiero della vita, vivere e nutrici di quel pane che è gioia piena; che dobbiamo essere insieme nel cammino che ci aspetta come gente che riconosce e coltiva i germogli, sentendo la responsabilità di essere coloro che sanno seminare perché sanno che il raccolto sarà abbondante».
L’impegno, definito con la Visita, è realizzare queste parole adempiendo, ciascuno, la propria vocazione evidenziata dalla lampada rossa accesa che l’Arcivescovo lascia alla comunità «perché venga utilizzata in occasioni particolari di preghiera e a di adorazione; perché nessun giovane viva a caso».
Infine, al termine della Celebrazione, la consegna (apprezzatissima) di centinaia di copie della “Regola di vita per i nonni” «perché confido che la loro sapienza sappia guidare il cammino della Comunità» e il dono dell’ultimo numero di “Fiaccolina” ai chierichetti. E, a fine mattinata, prima del pranzo comunitario, ancora un momento di incontro dell’Arcivescovo con il Consiglio pastorale e i Consiglio per gli affari economici.