L’ascolto che non può essere solo un atteggiamento passivo, ma richiede relazione e coinvolgimento reciproco; l’accompagnamento che non è accondiscendenza; la Parola di Dio che non può essere una lettura intellettualistica; spezzare insieme il Pane di vita che non può fermarsi a un dovere devozionale. E questo per una ragione profonda, intrinseca alla fede: perché tutto è vocazione. In sintesi, è quanto l’Arcivescovo dice agli Assistenti diocesani e parrocchiali dell’Azione Cattolica delle Diocesi lombarde, riuniti al Centro pastorale ambrosiano di Seveso. Aperta e moderata dalla presidente dell’Ac ambrosiana Silvia Landra, la riunione vede la presenza del Vescovo delegato Cel per il laicato monsignor Vincenzo Di Mauro, di don Massimo Orizio (assistente unitario regionale Ac), del vicario episcopale per la Formazione permanente del clero don Ivano Valagussa e di quello per la Carità, Cultura, Azione sociale e carità monsignor Luca Bressan.
La relazione introduttiva è di Valentina Soncini, delegata regionale lombarda presso l’Azione Cattolica Italiana. Questo appuntamento è parte di un percorso che stiamo svolgendo in Lombardia come Ac sul tema della formazione dei laici per questa stagione della Chiesa nella nostra regione e che abbiamo desiderato condividere anche con i nostri Vescovi», spiega, delineando tre punti su cui lavorare: «Essere laici capaci di edificare una Chiesa missionaria a partire dalla parrocchia, in una realtà in forte trasformazione (diminuzione del clero, diminuzione dei battesimi e dei matrimoni); essere laici dentro la storia (dimensione socio politica e culturale); vivere queste dimensioni cercando di evitare o di criticare le derive clericali, oggi ancora molto presenti, e mettendo in gioco una laicità matura».
Dall’episodio di Emmaus (Lc 24,13-53), assunto dal Sinodo dei Vescovi sui giovani, si avvia anche il l’Arcivescovo: «Gesù prima di insegnare ascolta. Il primo atteggiamento dell’accompagnamento è l’ascolto. Mi pare che le nostre comunità e i laici in esse, abbiano bisogno di dirsi quale sia lo stile con cui vivere». Ma cosa significa ascoltare? Consentire uno sfogo o solo raccogliere una confidenza? Collezionare lamentele? «L’ascolto è piuttosto stabilire una relazione che coinvolge, propizia il cambiamento di chi parla e di chi ascolta e invita a una assunzione di responsabilità e al farsi avanti per una disponibilità a costruire la Chiesa». Se siamo «persone che si ascoltano per costruire una comunità», questo stesso ascolto diviene occasione per un annuncio, così come deve essere per la Parola di Dio (come faceva Gesù). La Scrittura, infatti, non è un libro da approfondire, che informa o spiega, ma è Parola che chiama: dunque, «una provocazione e una vocazione, una illuminazione e una forza di conversione».
Poi la riflessione dell’Arcivescovo si sofferma «sullo spezzare del pane e l’apertura dello sguardo»: «Introdurre i laici alla celebrazione eucaristica è importante, ma il fatto che di questa Eucaristia non si abbia fame e che il non andare a Messa sia diventato un peccato veniale, mi sembra grave, perché la dinamica sacramentale ci dice che siamo fatti dall’Eucaristia». Punto che, nella formazione dei laici, deve essere meglio ricompreso. «Contro ogni riduzione volontaristica, intellettualistica, individualistica, devozionale, i discepoli diventano un cuore solo e un’anima sola per il dono che conforma a Gesù per la condivisione dello stesso pane e la comunione allo stesso calice».
Solo vivendo in una tale logica l’appartenenza alla Comunità si può arrivare a praticare una vera sinodalità, suggerisce Delpini: «La comunità cristiana si orienta attraverso un “processo sinodale”, secondo una terminologia che pare diventata “obbligatoria”. La terminologia assume una funzione di captatio benevolentiae, presentandosi più come etichetta propiziatoria di popolarità che come rigorosa procedura decisionale che richiede un esercizio di responsabilità corale. Ma quali itinerari sono raccomandabili per formare persone che siano in grado di rendere fruttuoso il percorso sinodale? Quale visione di Chiesa devono assimilare per non praticare metodi e procedure improprie e vivere il consigliare come un servizio e come un ministero profetico? Quali attenzioni procedurali sono irrinunciabili? Quale esercizio dell’autorità? L’Ac è associazione laicale con lunga esperienza e capacità formativa riconosciuta in questo campo. Quale contributo per la formazione dei soci e dei cristiani adulti?».
Fondamentale, per rispondere a questi interrogativi che si pongono come vere e proprie sfide per il domani, è il tema della formazione per essere laici adulti, protagonisti della Chiesa dalle genti: «Le parole orientative sono: accompagnamento, politica, ospitalità, economia e lavoro, sostenibilità… In questa prospettiva, l’Assistente è chiamato all’esercizio del Ministero pastorale offrendo all’Associazione le proposte di formazione alla preghiera, di celebrazione dei Santi misteri e di comunione ecclesiale che si armonizzino con le intenzioni dell’Associazione». Facendo questo con l’evidenza, sempre, di alcuni tratti guida: «La proposta di un cammino di conversione e di formazione che assuma la logica del seme piuttosto che la logica del raccolto; la formazione di una mentalità che assimili la visione conciliare della Chiesa, piuttosto che limitarsi all’abilitazione a collaborare con il proprio prete, per la propria parrocchia; il servizio alla formazione di questa mentalità per coloro che svolgono un servizio nella comunità locale (consiglieri, operatori pastorali)». E, ancora, «l’incoraggiamento ai confratelli a non trattenere per sé i laici, ma a incoraggiare la loro testimonianza laicale; la promozione, nel presbiterio, della sensibilità per la promozione della responsabilità laicale; l’armonizzazione di proposte per la formazione con la cura complessiva della Chiesa». Insomma, «no alla parcellizzazione delle proposte, ma sì a un’armonizzazione che non vuole dire omologazione».
È giunge, così, dall’Arcivescovo, anche un’ultima proposta, già per altro avanzata durante il Sinodo dei Vescovi: «Si può pensare a un tempo per il discernimento, di un anno, perché durante il percorso di una vita giovanile si realizzi vita comune, servizio, preghiera. Lo scopo non è creare una nuova comunità, ma formare persone che decidono chi vogliono essere, magari arrivando a scelte più definitive sulla propria vita».