Il pranzo insieme e il gesto minimo di donare un poco del proprio tempo a chi ne ha più bisogno; il dovere dei cristiani di camminare uniti per non «essere inghiottiti dal deserto» delle relazioni, delle porte blindate e delle inferriate alle finestre; la sinergia tra istituzioni capaci di promuovere il bene comune e non solo quello di alcuni, magari i più prepotenti. La “ricetta” del buon vicinato, in fondo, sembra facile: non chiede molto tempo, elaborazioni particolari, strategie grandiose, eppure semplice non è. Non se lo nasconde l’Arcivescovo che, nella piazza centrale di Cesano Boscone, dialoga con il sindaco della città Simone Negri. Accanto a loro il prevosto don Luigi Caldera ed Emilio Sestagalli, direttore della festa patronale della Madonna del Rosario (giunta alla 38ma edizione), che introduce la serata.
Appuntamento atteso: ci sono le autorità civili e militari, la vicesindaco e il Consiglio comunale quasi al completo, i sacerdoti della zona; un folto gruppo di cittadini arriva direttamente dalla processione con la recita del Rosario, altri aspettano in piazza davanti alla chiesa di San Giovanni Battista parata per la Festa, che si concluderà domenica 23 settembre. Il gonfalone cittadino sul palco e, di fronte, la parrocchia, sembrano l’emblema dell’intera manifestazione, dedicata a “Lo sguardo del buon vicinato”, e dell’incontro sullo stesso tema.
Il dialogo
Il dialogo prende avvio da un’analisi delle difficoltà della convivenza che – nei grandi centri ormai inglobati senza soluzione di continuità nella città metropolitana – è forse più problematica.
«Se la tendenza a un individualismo sempre più marcato è evidente, occorre schierarsi contro la negatività che rischia di spegnere ogni slancio e di essere paralisi», osserva subito il Sindaco, che fa riferimento al segno concreto e simbolico dello “sguardo”: «Lo sguardo non è la vista, ma è il senso che, più immediatamente, ci mette in contatto con la realtà ed è coscienza di ciò che ci circonda. È il presupposto della nostra sensibilità, così come da un mancato sguardo viene la fonte del rancore e dell’odio strisciante. Solo lo sguardo rende conto del fatto che non siamo soli al mondo e che abbiamo qualcosa in comune. È la base solida del nostro stare insieme».
Gli fa eco l’Arcivescovo che sottolinea: «Quando vengo a Cesano Boscone, sono contento di riflettere su come si costruisce la città. Forse, almeno nell’intuizione originale, la città vive di ciò che mette al centro. Che città è quella che si costruisce intorno al mercato? O sull’orgoglio, come Babilonia? Mi sono immaginato che Cesano sia costruita intorno alla fragilità». Il pensiero va all’istituzione che ha reso famosa la città, la Sacra Famiglia: «Anche se naturalmente qui c’è anche molto altro, ciò che mi commuove è un convivere che parte dall’accorgersi dei più deboli, del bisogno altrui».
Poi un altro simbolo, le inferriate. «Non è che tutti siamo perfetti e amici, però sarebbe importante sentirci sicuri perché siamo insieme e non sentirci minacciati per questo stesso motivo. La sicurezza è nei rapporti buoni che costruiamo tra noi. Quando si è capaci di immaginare buone relazioni, si inventano nuove azioni. Se fossi il prevosto di Cesano darei ordine di mettersi insieme, con amicizia semplice, per coltivare l’intraprendenza, costruire l’alleanza che attrae. Non è mai la massa che cambia il volto di un Paese, ma un gruppo di persone unite e convinte. Voglio fare l’elogio di quanto permette di guardare avanti, insieme».
Ma come promuovere tale sguardo positivo e fiducioso sul domani, così necessario specie alle nuove generazioni? Anzitutto è fondamentale «un’alleanza responsabile tra le istituzioni, per guardare la realtà riferita a un progetto politico, considerando la polis, la città, come comunità di persone. Le istituzioni hanno il dovere di prendersi cura dell’insieme e devono arginare la prepotenza di chi vuole imporre l’arbitrio e non il bene comune». Come a dire, la sinergia istituzionale accoglie tutti, ma non deve e non può essere ingenua.
Torna la parola “sguardo”, che si fa esercizio di progettualità condivisa, «come state sperimentando in questa Festa patronale articolata in tanti diversi momenti». Propone, l’Arcivescovo, un esempio concreto di integrazione: il pranzo insieme, «con l’apprezzamento di quello che ciascuno sa fare e con i cibi provenienti da tante parti del pianeta, che ci fanno dire che gli altri non sono diversi, ma rappresentano una ricchezza. Siamo un popolo in cammino se condividiamo la promessa e ci chiediamo in quale direzione procediamo. Una delle tristezze più grandi del nostro tempo è la convinzione che stiamo andando verso l’abisso e non verso la terra promessa. Se i giovani non sanno che la loro vita è speranza verso il futuro, non basterà qualche decimale delle statistiche per dire che la loro condizione è migliorata, per esempio, nel comparto del lavoro».
Chiaro il ruolo dei credenti in un simile orizzonte, peraltro evidenziato anche nella Lettera pastorale Cresce lungo il cammino il suo vigore e nel primo Discorso alla Città tenuto da monsignor Delpini, «Per un’arte del buon vicinato», a cui si sono ispirati i promotori della Festa cesanese: «I cristiani, che credono nella vita eterna, puntano lo sguardo verso la città nuova, si sentono popolo in cammino verso la terra promessa. Percorriamo le strade della storia per contagiare gli altri. Dobbiamo avere l’audacia di credere alla promessa che guarda avanti, camminando insieme perché il deserto non ci inghiotta».
Infine è don Caldera, nel richiamo alla “Legge della decima” – proposta appunto nel Discorso alla città come strumento privilegiato per convivere bene -, a rivolgere una domanda: «Quale è la decima adatta per un popolo come questo di Cesano?». Immediata la risposta dell’Arcivescovo: «Una decima del vostro tempo da dedicare agli altri. Mi stupisce sempre la meravigliosa realtà del nostro Paese con la quantità del volontariato esistente: camminare insieme fa sentire sostenuti». La logica, appunto, del gesto minimo.