Con sentenza pubblicata il 20 marzo 2018 la Corte di Cassazione si è espressa sul caso di un noto cantante che, all’uscita da un ristorante nel quale si era intrattenuto a cena con amici, veniva avvicinato da una troupe televisiva, con richiesta di rilascio di un intervista che veniva rifiutava in modo secco e perentorio.
L’episodio veniva riferito in una successiva trasmissione televisiva, col corredo di un commento sarcastico dell’inviato il quale, alla fine, si chiedeva ironicamente: «Chissà perché è così nervoso? Ma a Natale non si dovrebbe essere più buoni?».
A distanza di circa cinque anni la stessa emittente mandava in onda un secondo servizio, ove l’immagine del cantante veniva inserita in una «classifica dei personaggi più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo», nella quale gli veniva assegnato il secondo posto. Il commento fatto a corredo dei fatti, questa volta era del tenore: «E chissà, forse XY (nome e cognome dell’artista), non è più abituato alle luci della ribalta. Del resto, ormai è molto tempo che non lo illuminano più».
Il cantante conveniva indi in giudizio l’emittente lamentando l’illiceità della descritta condotta e richiedendo i danni.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma disattendevano la domanda, mentre la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che dal quadro normativo, costituito da una serie di norme nazionali (articolo 2 Costituzione, articolo 10 Codice civile, Legge numero 633 del 1941, articolo 97) ed Europee (articoli 8 e 10, comma 2 Cedu, articolo 7 e 8 della Carta di Nizza), e giurisprudenziale di riferimento, emerge che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione a favore del diritto di cronaca solo in presenza di specifici e determinati presupposti, quali: «1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poiché attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico».
Tali presupposti difettavano nel caso di specie a giudizio della Corte, che osservava come l’episodio del diniego, «seppure espresso in forma perentoria e poco cortese, di un’intervista da parte del cantante, personaggio certamente molto noto a quella specifica parte di pubblico che lo segue e lo ammira, ma di certo non investito di un ruolo primario nella vita pubblica nazionale, riproposto in televisione a distanza di cinque anni, costituisce un fatto del tutto inidoneo ad aprire un dibattito di pubblico interesse, e men che mai risponde a quelle ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, o di interesse scientifico o didattico, che sole possono giustificare una nuova diffusione della vicenda da parte di una trasmissione televisiva».
Non solo, ma: «È, in realtà, innegabile che la reiterata messa in onda delle immagini televisive concernenti l’episodio in questione ha avuto come finalità unica di consentire l’inserimento del cantante nella trasmissione (omissis) allo scopo di renderlo inconsapevole partecipante ad una classifica dei personaggi più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo, inventata dalla stessa trasmissione, consentendo, in tal modo, il soddisfacimento di un interesse esclusivamente divulgativo, per finalità commerciali e di audience del gestore televisivo».
Ma altresì: «I commenti posti a corredo delle immagini registrate ben cinque anni prima non rispondono a quei criteri di continenza espressiva, scevra da allusioni o considerazioni personali, che – secondo la giurisprudenza Europea (Corte Edu, 19/10/2017 cit.) – valgono a porre in luce l’emersione, a distanza di anni, di un nuovo interesse pubblico obiettivo a conoscere una determinata vicenda del passato».
Sotto un diverso profilo neppure, secondo la Corte, il fatto potrebbe giustificarsi in base al diritto di satira, «costituente una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, essa è sottratta all’obbligo di riferire esclusivamente fatti veri, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito». Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, «purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira, e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato». Ciò che invece nel caso di specie non è stato ritenuto ricorrere. «Nel caso concreto, infatti, i commenti in parola – tenuto conto del notevole lasso di tempo trascorso dall’episodio rappresentato, che mette fuori gioco l’esistenza di una critica spontanea ed immediata ad un comportamento ritenuto poco urbano e cortese del cantante – sono chiaramente diretti ad una mera ed ingiustificata denigrazione del medesimo».
La Corte ha quindi ritenuto, nel caso di specie, la prevalenza del diritto all’oblio sul diritto di cronaca, ritenendo che la diffusione della notizia nel caso di specie non contribuiva ad un dibattito di interesse pubblico, effettivo ed attuale, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla medesima Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per le statuizioni in fatto conseguenti.