Come in una ricchissima miniera senza fondo, dalla Biblioteca Ambrosiana continuano a emergere nuove e preziose gemme cartacee, tesori librari ancora inediti, o comunque sconosciuti al di là del ristretto pubblico degli specialisti, da studiare e riscoprire. Come nel caso dei cosiddetti Tarocchi del Mantegna, oggi esposti in una mostra che ha il merito non soltanto di presentare per la prima volta delle splendide incisioni rinascimentali, ma anche di proporre, a riguardo, nuove interpretazioni e ricerche.
Opere, tanto per cominciare, che nonostante la definizione ormai corrente non sono dei tarocchi, né possono essere attribuite al Mantegna. Si tratta infatti di una serie di cinquanta stampe incise a bulino, probabilmente la più importante e celebre realizzata in Italia settentrionale nella seconda metà del XV secolo, ovvero agli albori dell’arte stessa della stampa. Il fatto che queste incisioni abbiano un formato simile a quello delle antiche carte da gioco, e che siano giunte fino a noi per lo più in esemplari sciolti (ritagliate, cioè, dai collezionisti stessi nel corso dei secoli), aveva indotto in passato a ritenere erroneamente che si potesse trattare di un insolito mazzo di tarocchi, anche in relazione ai personaggi maschili e femminili che vi sono raffigurati.
In realtà le incisioni rappresentano, nel loro insieme, quel microcosmo che è l’uomo, inserito nel macrocosmo dell’universo. Il tutto suddiviso in cinque “parti”, ognuna costituita da dieci soggetti: la “condizione umana”, dal “misero” al “Papa” (ultimo e primo nella gerarchia sociale, ma anche allegoria dell’umanità in ricerca); le nove Muse, ovvero le patrone delle arti secondo il mito antico, guidate dal dio Apollo; le personificazioni delle Arti del Trivio (grammatica, retorica e dialettica) e quelle del Quadrivio (aritmetica, geometria, astrologia, musica), unite a poesia, filosofia e teologia; quindi le Virtù teologali (fede, speranza e carità) e quelle cardinali (prudenza, temperanza, fortezza e giustizia), accompagnate dai principi cosmici; ed infine il sistema dei pianeti, fino all’Ottava sfera (il cielo delle stelle fisse), con il Primo mobile (la prima sfera che si muove velocemente per il diretto contatto con Dio) e la Prima causa (cioè Dio stesso).
Ne emerge un sistema universale “integrato”, dove nulla è indipendente e nessuno è isolato, ma tutto vive e agisce in base a perfette corrispondenze e a un chiaro, seppur sempre misterioso, disegno divino, stabilito dal Creatore con infallibile precisione. Una visione elaborata già in epoca medievale e che raggiunge la sua massima definizione proprio in epoca rinascimentale, con il diffondersi delle teorie neoplatoniche, rilette in chiave cristiana.
I “tarocchi” dell’Ambrosiana, già presenti probabilmente nella collezione del fondatore stesso della veneranda istituzione, il cardinale Federico Borromeo, sono dunque un’illustrazione per immagini di questa articolata concezione del mondo che è allo stesso tempo filosofica e teologica.
La complessità del ciclo iconografico, pressoché unico nel suo genere, e la qualità delle singole figure avevano fatto pensare, alla critica ottocentesca, a uno dei maggiori pittori del Rinascimento padano, ovvero Andrea Mantegna. Già da tempo, tuttavia, gli studiosi hanno evidenziato le differenze tra lo stile di queste incisioni e quello del maestro mantovano, osservando invece delle affinità con la scuola artistica ferrarese (con Francesco del Cossa, ad esempio), o con l’ambito dei miniatori veneti (come lo “sfuggente” Girardo di Andrea da Vicenza).
Nell’attuale rassegna milanese, tuttavia, la curatrice Laura Paola Gnaccolini avanza una nuova attribuzione, riferendo la paternità di queste carte a Lazzaro Bastiani, artista veneziano coevo di Bartolomeo Vivarini, le cui particolari figure allungate sembrano coincidere con i “ritratti” dei fogli dell’Ambrosiana. Proprio in Laguna, del resto, Bastiani potrebbe aver incontrato l’umanista Ludovico Lazzarelli, possibile ispiratore della serie delle cinquanta incisioni: motivo per cui in mostra viene esposto anche un eccezionale manoscritto che contiene il testo del Crater Hermetis, nel quale il filosofo marchigiano descrive le tappe che possono portare l’uomo al massimo grado di perfezione. Quell’uomo che Dio ha creato a propria immagine e somiglianza.
La mostra L’uomo divino. Ludovico Lazzarelli e i Tarocchi del Mantegna è aperta fino al 1° luglio 2018 presso la Biblioteca Ambrosiana a Milano (piazza Pio XI, 2). Ingresso mostra e Pinacoteca: 15 euro (ridotto 10 euro, scuole 5 euro). Per informazioni: tel. 02.806921.