«Ricordate sempre che non è il colore della pelle che fa l’avversario, ma il colore della maglia. Non fatevi mai distrarre da chi non aspetta altro che cogliervi in fallo. Il vostro comportamento corretto e leale sarà la migliore risposta al pregiudizio e alla paura. Voi avete una grande responsabilità, in quanto state aprendo una strada nuova e svolgete un ruolo di apripista nei confronti di coloro che verranno dopo di voi. Guardate negli occhi le tante persone che vi sostengono e che vi circondano e, insieme a loro, andate avanti». Nello scorso autunno Emiliano Mondonico aveva parlato così, a Monza, all’incontro di presentazione di “Sport Inside”, il progetto lanciato dal Csi Milano per favorire l’integrazione di giovani richiedenti asilo attraverso lo sport. Una delle numerose occasioni in cui il popolare “Mondo” – scomparso oggi a 71 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro – si era prestato a fare da testimonial per promuovere lo sport di base e in oratorio.
Era partito proprio dall’oratorio, Mondonico (nato a Rivolta d’Adda), per quella carriera di calciatore che l’aveva portato a vestire le maglie di Cremonese, Monza, Torino e Atalanta. Soprattutto in casacca granata aveva avuto la sua grande occasione, come ala estrosa e dotata di classe, ma non altrettanto di rigore tattico e disciplinare: celebre la squalifica rimediata apposta per non perdere un concerto dei Rolling Stones al Palalido di Milano.
Memore delle marachelle compiute da calciatore, si era trasformato in allenatore meticoloso e puntiglioso, ma senza perdere la sua semplicità di uomo di provincia e quella ironia capace di stemperare tutto con una battuta. Cremonese, Como, Atalanta, Torino, Napoli e Fiorentina le sue panchine più prestigiose. Con una finale Uefa persa col Torino contro l’Ajax e contro un arbitro al cui indirizzo il “Mondo” inveì mulinando una sedia.
Negli ultimi anni, parallelamente alla battaglia contro la malattia, si era speso generosamente per lo sport per tutti, in particolare a fianco del Csi: presente alle inaugurazioni dei tornei, alle serate in parrocchia, dibattiti e tavole rotonde, al Galà e alle Olimpiadi degli Oratori, all’inaugurazione di un campo di volley e di basket alla Casa circondariale di Monza, alla maratona della “24 ore di idee per lo sport”… Sempre con il sorriso a fare capolino sotto i baffi, che lo accompagnava anche agli allenamenti della squadra di ex alcolisti affidata alle sue cure. Un impegno comune: lui combatteva contro il suo male, loro contro l’alcol. Perché la forza dello sport, diceva, «può davvero aiutare: in fondo la cura può partire davvero dal campo, dove il calcio richiede grandi sacrifici, che però non sono nulla rispetto a quelli da affrontare con i medici».