“Contrariamente alle apparenze e a una certa tradizione che ci restituisce un’immagine polverosa di carte mal conservate, gli archivi contengono carte piene di racconti e narrazioni più che mai vive e interessanti”. Parte da qui don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei, per parlare degli archivi storici ecclesiastici. Uno scrigno immenso che, da Nord a Sud Italia conserva la storia di intere comunità, potendo contare in alcuni casi su documenti preziosissimi. Come valorizzare questo patrimonio, in una nuova prospettiva condivisa, è il “cuore” del convegno “Storie fuori serie” che si svolge oggi (27 novembre), a Roma.
Qual è lo stato dell’arte degli archivi storici ecclesiastici? Quanti sono al momento consultabili?
Sono 831 gli archivi censiti sul portale nazionale BeWeb, che raccoglie le informazioni dei progetti di catalogazione, inventariazione e censimento del patrimonio delle diocesi italiane. Sono archivi diocesani, degli Istituti di vita consacrata di particolare rilevanza come anche archivi parrocchiali e di diverse comunità.
Da sempre gli archivi storici organizzano il materiale conservato non soltanto per la conservazione e la conoscenza dei contenuti, ma soprattutto per la sua consultazione. Si tratta di un’azione stabile e continuativa realizzata con professionalità e dedizione a vantaggio di tutti.
Gli archivi storici costituiscono ormai una rete ben organizzata capace di condividere esperienze e professionalità, di coinvolgere il territorio e le comunità che lo abitano e di avere prospettive comuni di sviluppo e di visione pastorale.
A che punto è la condivisione di questo immenso patrimonio? Come si sta muovendo il territorio rispetto a questo impulso a fare rete?
Molte sono le modalità e gli strumenti di riordino e di descrizione che gli archivi utilizzano. Il progetto Cei-Ar, dedicato agli archivi storici ecclesiastici, è maturato nell’ambito dell’Intesa tra Cei e Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) del 18 aprile 2000, riguardante la conservazione e la consultazione degli archivi d’interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche. Nel marzo 2015 questa intesa ha trovato nuovo impulso con la Convenzione per il dialogo tra il Sistema archivistico nazionale – di cui l’Istituto Centrale per gli Archivi del Mibact è il responsabile della gestione, manutenzione e sviluppo – e BeWeB, portale gestito dall’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei. Oltre 300 sono gli archivi coinvolti in questo progetto unitario su scala nazionale di integrazione delle risorse e di massima accessibilità pubblica. Un progetto che si caratterizza per la forte connotazione partecipativa delle diocesi e degli istituti, che contribuiscono, a misura di territorio, al progetto nazionale e si pongono in una progettualità condivisa.
Nelle zone colpite dal terremoto, qual è la situazione degli archivi storici ecclesiastici. C’è qualche situazione critica?
Una delle prime preoccupazioni sul patrimonio, nel contesto di un evento catastrofale quale il terremoto, è sicuramente quello della salvaguardia degli archivi e in modo particolare quelli parrocchiali. Questi raccolgono infatti la vita delle persone: battesimo, cresima, matrimonio, morte e la storia di intere comunità, da sempre. Documenti unici ed esclusivi della memoria.
Le attività di recupero sono state tempestive grazie agli interventi delle diocesi, del Mibact, dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio, dei vigili del fuoco e di tanti volontari preparati. Risulta fondamentale in questi casi conoscere dove si trovano e quali siano quelli più a rischio per provvedere con urgenza ed efficacia. La loro mappatura sul territorio è rappresentabile grazie anche ai progetti di conoscenza che confluiscono su BeWeb.
L’archivio storico della diocesi di Camerino si sta riorganizzando anche nella prospettiva di svolgere un servizio per quegli archivi maggiormente a rischio delle parrocchie che hanno chiese e canoniche crollate.
In questo processo di valorizzazione, è venuto alla luce in giro per l’Italia qualche documento importante o particolarmente significativo?
Le carte conservate negli archivi ecclesiastici hanno tutte grande rilevanza proprio per il fatto di raccontare la storia di vita e di fede delle nostre comunità. Al contempo ci sono giunte testimonianze di eccezionale antichità e contenuto. Basti ricordare l’archivio storico diocesano di Ravenna considerato il più antico archivio d’Europa che conserva papiri e pergamene del V secolo dopo Cristo. Non a caso questo straordinario materiale è stato raccontato su BeWeB attraverso il percorso “Tesori del passato. Luce sul futuro” che invito a visitare.
Chi sono oggi le persone che principalmente fruiscono dei documenti conservati negli archivi storici ecclesiastici?
Ai tradizionali fruitori di archivi ecclesiastici, come seminaristi, studiosi e docenti, si sono oggi affiancate nuove categorie di utenti. Del resto la messa a disposizione su web dei materiali apre ad un potenziale illimitato che intercetta interessi di diverse persone, con le più disparate professionalità, e provenienti dai luoghi più lontani. Mi piace a tal proposito ricordare il grande interesse suscitato per gli emigrati da più generazioni di ricostruire le origini della propria famiglia italiana. Queste ricerche genealogiche sono oggi molto richieste e ritengo facciano comprendere anche la funzione sociale svolta dagli archivi ecclesiastici e la loro grande utilità per la memoria dei singoli e della collettività.
In che modo avvicinare i giovani a questo patrimonio? Possono essere – o diventarlo sempre più – realtà a cui avvicinarsi per esempio con l’alternanza scuola-lavoro?
Bisogna innanzitutto che le generazioni più mature facciano uno sforzo di dialogo con quelle più giovani.
Bisognerebbe far crescere ancora di più la capacità comunicativa delle carte degli archivi per intercettare gli interessi dei giovani alla ricerca di un passato dal quale imparare e prendere spunto per la propria vita.
In quest’ottica, anche l’alternanza scuola-lavoro può essere uno strumento di dialogo generazionale e può far affezionare i ragazzi agli archivi e al loro contenuto.