L’ultimo regalo suor Luisella me lo ha fatto due mesi fa quando già stava male, in una tregua concessale dalla malattia. A sorpresa, l’ho vista spuntare dalla porta della mia cucina insieme a don Mario, che avevo invitato a pranzo in uno dei giorni del ponte del 25 aprile. Si erano messi d’accordo per farmi una sorpresa e sono arrivati insieme, da Milano, in bicicletta.
Dalla porta è spuntato il suo turbante blu, come i suoi occhi: sorridenti, vivaci, con quel guizzo gioioso e complice, come di chi molto comprende, anche senza tante spiegazioni.
Ho conosciuto suor Luisella molti anni fa, grazie al fiuto da ‘umanità’ che aveva don Giancarlo: era appena rientrata dalla missione, dall’Ecuador, per prendersi cura della sua famiglia e anche di sé; per combattere quel male che dopo venti anni di battaglie, oggi ha avuto la meglio su di lei.
Don Giancarlo l’aveva coinvolta nell’animazione della sgangheratissima comunità africana. Una sfida pastorale di tutto rispetto e forse proprio per quello la accettò.
La ricordo in quei primi anni 2000, con la veste marroncina (ancora la portava, per poi liberarsene appena le è stato possibile) e un occhio livido, per via di un incidente in bicicletta sulle rotaie del tram.
La bicicletta… il suo mezzo per la libertà: ci andava a casa della gente, ci andava all’ospedale per le terapie, ci veniva in Curia. E nei mesi del Covid ci tornavamo insieme a casa, lungo corso Buenos Aires, e lei faceva a gara con me, per battere me, che avevo la bicicletta elettrica: mi diceva che il suo motore teneva a testa al mio.
Poi per lunghi anni non ci siamo più viste, fino a un incontro, qualche anno fa, per le scuole di italiano per stranieri: tanti c’è ne sono nel suo quartiere e lei, che per tanti motivi non poteva più andare in missione, era in missione con loro: il ragazzo srilnkese arrivato già grande con il sogno di fare lo chef, la ragazza che aiutava negli studi e proteggeva da un padre violento, la mamma africana con due bimbi piccoli a cui comprava i materiali scolastici e tanti, tanti altri.
In quell’incontro la rivedevo dopo una vita, ma la sensazione era che non ci fossimo mai allontanate. Affinità elettive si dice… Oppure la magnificenza di quelle persone che sono ‘di Dio’ e che quando le incontri senti di essere accolta, amata, importante ai loro occhi.
Per me Luisella era questo: capace di un’accoglienza autentica, di riconoscere in ciascuno la sua perfetta unicità, di sintonizzarsi con il bisogno e di svelare il limite, non per giudicare, mai per umiliare, solo per aiutare a crescere. Era gioia e autorevolezza, era risate e serietà, era parole misurate e sufficienti, era intuizioni geniali e umiltà, era competizione e abbraccio benedicente: era vera. Era una donna di Dio.
La prima donna al Consiglio Episcopale Milanese. Entrata in punta di piedi, ha lasciato un segno bello della visione femminile della Chiesa: non imposto, ma effuso, come un profumo. Come quel nardo che anche lei, ne sono sicura, avrebbe versato sui piedi del suo Signore, senza pensarci un momento.
La persona – una missionaria comboniana, che nutriva sempre il desiderio di partire, di incarnare la “Chiesa in uscita” – a cui, osando, fidandosi, la diocesi ha chiesto di accompagnare i primi passi di un cammino che oggi coinvolge centinaia di persone. Eccola la sua missione, la missione che Dio ha voluto per lei.
E poi, la consapevolezza di sé, del proprio limite. Il suo saper passare il testimone, capace di servire ben oltre un teorico spirito di servizio: umile, docile a un volere più grande e spesso umanamente incomprensibile.
Il suo scegliere di insegnare ad altri a scegliere, a discernere per il bene proprio e altrui: quante novizie, quante mamme, papà, famiglie in parrocchia, quanti giovani. E soprattutto ai suoi nipoti: prima i grandi e poi giù, giù fino alla piccola Giulia.
E ancora, durante il Covid, i pranzi insieme all’ufficio missionario in Curia, a condividere cibo e vita; gli incontri con le donne durante il Sinodo, a fare da osservatrici privilegiate di quel che si muove nel cuore di chi crede.
E il suo sapersi consegnare nel dolore, nella malattia. Il suo esserci, semplicemente esserci, che tanto basta a dire “per me sei importante e ci sarà sempre un posto speciale per te nel mio cuore”.
Suor Luisella si è riservata tante stanzette semplici e ospitali nel cuore di molti.
E ora, ne sono certa, è in paradiso: un enorme campo da basket, a fare a gara di canestri.
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