«Non conta essere tanti o essere pochi: conta essere con Gesù, seguire lui, percorrere la sua via. Non conta essere potenti o fragili, essere applauditi da tutti o guardati con una specie di commiserazione e di disprezzo, non conta disporre di molte risorse o essere in miseria, conta solo praticare lo stile del Signore. È Gesù la nostra pace e senza di lui non possiamo fare niente. Non potete fare niente neppure voi che oggi diventate preti, così bravi, così preparati, così attesi».
È con queste parole, tra molte altre di incoraggiamento e di paterna benedizione, che l’Arcivescovo si rivolge ai 15 giovani candidati diocesani – di età compresa tra i 24 e i 32 anni con alle spalle esperienze in oratorio, nello scoutismo, l’ambito missionario e le Giornate Mondiali della Gioventù – ai quali, in un Duomo gremito e finalmente tornato ai numeri prepandemici, conferisce l’Ordinazione sacerdotale.
La celebrazione
Momento, appunto, atteso, desiderato non solo dai candidati, ma anche dalle comunità dove hanno svolto le loro prime esperienze pastorali e dalle parrocchie di origine – 5 candidati provengono dalla Zona IV (Rho), 4 dalla V (Monza), 3 dalla Zona VI (Melegnano), 2 dalla II (Varese) e 1 da Milano -, senza dimenticare chi li ha accompagnati negli anni di formazione seminaristica a Venegono, da genitori, partenti e amici. Tutti presenti in Cattedrale, così come i Vescovi ausiliari, cui si aggiunge monsignor Raphael Mweempwa, vescovo di Monze, in Zambia, a Milano per una convalescenza, altri membri del Cem e quelli del Capitolo metropolitano, circa 200 sacerdoti ambrosiani provenienti da tutta la Diocesi e i seminaristi. Accanto all’Arcivescovo, siedono il rettore del Seminario, monsignor Enrico Castagna e l’arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo.
Tutti insieme, tra le navate della Cattedrale, per dire la gioia e la partecipazione corale a una delle celebrazioni più solenni e suggestive dell’Anno pastorale, con i gesti propri della Liturgia dell’Ordinazione a partire dalla presentazione degli eletti e il loro “Eccomi”, che precede l’omelia del vescovo Mario. Una riflessione, la sua, che non nasconde le difficolta del presente per i cammini vocazionali e sacerdotali, ma che, seguendo il motto dei candidati 2023, illumina ogni situazione e condizione con le parole del Vangelo di Luca, “Pace in terra agli uomini, che egli ama”.
Non super eroi, ma portatori di Gesù tra la gente
«Certo sarebbe bello – dice, infatti, il vescovo Mario – che una moltitudine fosse disponibile a percorrere la terra per lodare Dio e dire: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”. E invece di una moltitudine si fa avanti ora un piccolo gruppo di uomini lieti e disponibili per farsi messaggeri di pace. Certo sarebbe bello che i messaggeri di pace fossero parte dell’esercito celeste, cioè – secondo l’immaginazione spontanea – angeli, esseri perfetti, instancabili, creature sottratte alla stanchezza, alle passioni umane, ai peccati, e alla fragilità. E invece di angeli del cielo si fanno avanti uomini fragili come tutti i figli degli uomini, uomini animati da buone volontà, ma imperfetti», aggiunge.
Come, dunque, potrà continuare «la missione della Chiesa per portare pace nel mondo, questa Chiesa cosi incline a contare il ridursi delle risposte, così segnata dalla fragilità delle persone, dalla complessa varietà di pensieri e di sensibilità?».
Chiara la risposta suggerita dall’Arcivescovo che non può che rivolgersi agli ordinandi e ai fedeli richiamando il ruolo peculiare dei presbiteri: non super eroi, ma uomini che sappiano, tra la gente, essere segno di pace.
«Noi oggi non celebriamo una sorta di reclutamento di truppe speciali per una qualche missione audace e temeraria di resistenza al male e di costruzione della pace. Noi celebriamo le ordinazioni presbiterali, cioè il dono dello Spirito che consacra questi uomini perché siano associati alla missione di Gesù, con lo stile di Gesù, con la forza e la sapienza che vengono dall’alto, così diverse dalla sapienza e dalla potenza che vengono dalla terra». Da qui la missione affidata ai preti novelli.
La missione della pace, missione di Chiesa
In primo luogo, si tratta di annunciare che «la pace e la gioia per tutto il popolo è un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Egli è la nostra pace: grazie a lui, per mezzo della sua carne crocifissa, i popoli sono stati riconciliati e coloro che erano lontani, divisi tra loro, stranieri, esclusi dalla cittadinanza nel popolo di Dio, sono diventati vicini, familiari, di Dio, hanno ricevuto l’annuncio della pace. Non dimenticatevi mai del bambino. Per questo senza Il Signore nulla può essere veramente fatto per realizzare la pace».
Inoltre, si tratta di rendere concreta una costruzione «ben ordinata per essere tempio santo del Signore». «La missione non è affidata a eroi chiamati a imprese solitarie, ma alla comunità edificata avendo come pietra angolare Cristo Signore. Perciò la missione della pace è missione di Chiesa, è il segno della Chiesa posto in mezzo alla storia degli uomini, fragile e discutibile come ogni storia umana, eppure solo questa comunità può essere capace di portare il messaggio che Dio ama la vocazione alla fraternità. I preti non sono ordinati per costruire la Chiesa su di sé, per mettersi al fondamento della Chiesa – impresa impossibile, temeraria e pericolosa -, perché la pietra angolare è Cristo Signore».
Non fare tutto, ma essere a servizio
Come a dire, «i preti non devono fare tutto, non devono essere il criterio di tutto, non possono pretendere di farsi maestri in tutto di tutti. I preti devono fare una cosa sola: curare che la costruzione cresca ben ordinata, che i battezzati siano animati dallo Spirito, che ciascuno sia valorizzato per il suo dono e apprezzato per la sua vita cristiana, accendendo lo zelo perché tutti siano discepoli missionari. Il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio battesimale, cioè si prende cura che ciascuno realizzi la sua vocazione nella vita consacrata, matrimoniale, nel ministero ordinato».
Annunciare il bambino che salva
Infine, la terza consegna. «La parola che la Chiesa ha da dire è la verità di Dio che si è rivelata nel bambino. Questo è il lieto annuncio: è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore. Sia che siamo intelligenti o limitati, non abbiamo niente altro da dire, ma non possiamo tacere quello che ci è stato detto del bambino. Ci portiamo dietro enormi biblioteche e forse non riusciamo a dire l’essenziale, parliamo troppo o siamo muti a proposito dell’essenziale. Questa umanità ferita ha certo bisogno di comprensione, del sollievo di qualche antidolorifico, ma la salvezza, la speranza vengono solo da Gesù, il bambino, nato nella città di Davide, il figlio de l’uomo crocifisso».
Poi, gli impegni degli eletti e la promessa di obbedienza con il “Sì, lo voglio” e il “Sì, lo prometto” scanditi all’unisono dagli ordinandi che si prostrano, subito dopo, ai piedi dell’altare maggiore per le Litanie dei Santi, l’Imposizione delle mani nel silenzio della Cattedrale e la Preghiera di Ordinazione, la Vestizione degli abiti sacerdotali, l’Unzione delle mani dei sacerdoti novelli con il sacro crisma da parte dell’Arcivescovo e del vicario generale, monsignor Franco Agnesi, la consegna del calice e della patena, compiuta dai vescovi monsignor Giuseppe Vegezzi e monsignor Luca Raimondi, lo scambio della pace.
E, prima dell’applauso che accompagna la processione finale, ancora un grazie dall’Arcivescovo che si fa anche voce del cardinale Angelo Scola, impossibilitato, per motivi di età e salute, a intervenire, ma che, come scrive in un suo messaggio, «celebrando Messa per i nuovi presbiteri ambrosiani», offre «le fatiche legate alla età per questi giovani che si fanno coraggiosi testimoni nel travagliato mondo di oggi». Quei giovani sacerdoti da pochi momenti che, emozionati, salgono per un saluto informale con l’Arcivescovo in episcopio, per poi, ridiscendere tra la massa della gente che li accoglie con un tifo da stadio, striscioni coloratissimi, cori, e il classico lancio in aria.
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