At 1,6-13a; Sal 46 (47); Ef 4,7-13; Lc 24,36b-53
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24,50-53).
Nel racconto di Luca l’ascensione non è solo la partenza di Gesù dalla terra, ma pure la sua esaltazione alla destra di Dio, dove Gesù è intronizzato come Messia. L’idea che una persona fosse condotta in cielo non era strana nell’Antico Testamento (cfr. 2Re 2,11; Sir 44,16; 48,9). L’evangelista aveva preparato i suoi lettori sin dalla scena della Trasfigurazione: l’immagine del misterioso «esodo» (Lc 9,31), di cui Mosè ed Elia parlavano con Gesù, era ripresa dal narratore all’inizio del cammino verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51) non solo come itinerario verso la città santa, ma più profondamente come ascesa al Padre. La partenza è preceduta dalla benedizione. Gesù, prima di benedire, alza le mani: è il gesto tipico dei sacerdoti che a mani levate pronunciano la benedizione sui fedeli (cfr. Lv 9,22; Sir 50,20-22). La risposta dei discepoli non è improntata al timore e allo sbigottimento, ma alla gioia, alla benedizione e all’adorazione. Anzitutto essi «si prostrano» di fronte a Gesù. Essi, cioè, riconoscono ormai che il Cristo risorto appartiene al mondo di Dio. Il secondo gesto è quello di «benedire» (v. 53): essi cioè rendono grazie a Dio per la manifestazione di salvezza.
Preghiamo
Signore Gesù,
salendo al Padre tu hai introdotto l’umanità nel mistero di Dio.
Da allora un frammento della carne umana,
il tuo corpo, appartiene al mondo di Dio.
A quella meta siamo chiamati anche noi, uomini e donne che credono.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]