At 20,17-38; Sal 26 (27); Gv 14,7-14
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere» (Gv 14,8-10).
L’obiezione di Filippo mostra la difficoltà ad accogliere la rivelazione. Filippo, uno dei discepoli più reattivi nel Quarto Vangelo, esprime l’aspirazione mistica di ogni credente, paragonabile al desiderio di Mosè di vedere la gloria di Dio (cfr. Es 33,18). Ma nel contempo la sua domanda rivela la sua resistenza a vedere in Gesù il Verbo di Dio. La sua domanda è la ragione stessa dell’incarnazione, ciò per cui Gesù è venuto in mezzo agli uomini, ovverosia far conoscere loro il Padre. Forse in questo dialogo c’è una critica di Giovanni evangelista a quelle correnti gnostiche che cercavano il contatto diretto con la divinità senza passare attraverso Gesù. Filippo e con lui tutti i credenti sono invitati a non ricercare esperienze dirette di Dio. Il Padre lo si incontra nella fede in Gesù e nell’ascolto della sua Parola. Come le azioni e le parole di Gesù sono opere e parole del Padre, così il credente compirà opere più grandi di Gesù e otterrà da lui ciò che non chiede: è la stessa fede in Gesù che darà ai credenti la capacità di agire ancora più grande di quella del Figlio.
Preghiamo
Signore Gesù,
non abbiamo altre modalità di incontrare Dio
se non quella di guardare a te, di ascoltare te.
Donaci la grazia di tenere fisso lo sguardo su di te,
per capire il mistero del Padre che tu ci riveli.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]