Sabato 20 maggio
At 18,1-18a; Sal 46 (47); 1Cor 15,35-44a; Gv 13,12a.16-20
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,16-17).
Il Vangelo di Giovanni non racconta la cena di Gesù, ma la lavanda dei piedi. Il Maestro e Signore si fa servo, colui che sta donando la vita per la salvezza dell’umanità compie l’umile gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli. Nel discorso che segue Gesù precisa quale logica i discepoli devono apprendere e vivere, se intendono appartenere a quel gruppo. In questo contesto c’è una sorpresa: Gesù proclama una beatitudine. Nel Quarto Vangelo sono solo due le beatitudini: qui e al termine del racconto (cfr. Gv 20,29). Il discepolo viene dunque raggiunto da un messaggio forte e completo. Egli è invitato all’azione, a una vita che si metta concretamente al servizio dei fratelli seguendo la via dell’amore estremo disposto a perdere sé per l’altro; ma insieme è avvisato che tale disposizione non potrà prescindere dalla volontà di Dio, dal suo disegno di salvezza, mirabilmente rivelato dalla croce di Gesù. L’agire cristiano risulta così legato a doppia corda all’evento della Pasqua: infatti sia la fede che lo motiva, sia la forza che lo sostiene trovano nell’evento pasquale la loro sorgente. Sul versante della fede, solo la consapevolezza circa l’amore totale per l’uomo che ha guidato Gesù sulla croce può convincere il discepolo a decidere di vivere come lui; sul versante dell’azione, solo la forza vitale che scaturisce dal sacrificio di Gesù sulla croce rende umanamente possibile per il discepolo l’imitazione del gesto del Maestro.
Preghiamo
Signore Gesù,
il dono della tua vita
e la forza del tuo Spirito
ci permettono di vivere come te,
offrendo noi stessi per amore.
[da: La Parola ogni giorno. L’esistenza “in Cristo”, Quaresima e Pasqua 2017, Centro Ambrosiano, Milano]