Siamo circondati da una cultura truccata. «Se da una parte idolatra la giovinezza – dice papa Francesco – cercando di non farla passare mai, dall’altra esclude tanti giovani dall’essere protagonisti. È la filosofia del trucco. Le persone crescono e cercano di truccarsi per sembrare più giovani, ma i giovani non li lascia crescere. Nella Chiesa non dev’essere così: chiudere la porta, non sentire».
Negli ultimi anni la Chiesa ha prestato molta attenzione all’universo giovanile: si pensi al Sinodo del 2018, al percorso avviato dai Vescovi lombardi… Eppure non è ancora scaturita una rinnovata azione pastorale verso i giovani. «Gli adulti di oggi non sono più quelli di una volta, vivono un eccesso di positività – dice il teologo don Armando Matteo -. Dalla valle delle lacrime siamo passati al sorriso di Amazon. In Italia non abbiamo il problema della fame, ma di perdere peso prima di andare al mare. Siamo nell’epoca dove trionfa Peter Pan». Secondo Matteo gli adulti sono dolcemente intrappolati nel penitenziario di una eterna giovinezza che, di fatto, compromette un cammino “generativo” anche nella trasmissione della fede. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la lontananza dei giovani dalla Chiesa.
Riportare i giovani a Messa significa riportare la fede nella vita e la fede nella vita pastorale e domenicale?
Assolutamente sì. Nel mio libro Riportare i giovani a Messa cerco di richiamare l’attenzione non solo sull’assenza dei giovani che è molto evidente, ma anche sull’assenza dei loro genitori. In particolare i 40enni e 50enni. Riportare i giovani a Messa significa entrare in quel grande compito a cui papa Francesco ci chiama, cioè a una conversione della mentalità pastorale. Quindi riuscire a riportare la fede nella vita del mondo di oggi, soprattutto degli adulti di oggi. Non bisogna mai dimenticarsi che sono proprio i genitori adulti il primo luogo, i primi protagonisti della trasmissione della fede. Ovviamente, nel ripensare un cristianesimo che possa intercettare le domande, i bisogni degli adulti di oggi, una parte importante è dedicata a far rivivere di più la bellezza della Messa e della liturgia.
In un capitolo del libro parla di «rimbecillimento». È un frutto del consumismo?
È l’altra faccia della medesima medaglia: la condizione adulta negli ultimi 40 anni si è notevolmente migliorata, trasformata, aprendo a noi possibilità che i nostri genitori non potevano minimamente immaginare. La vita è più lunga con meno sofferenze, tanti farmaci, tanto tempo a disposizione, tanto benessere. Ovviamente tutto questo è diventato una sorta di gioco di cui abbiamo perso la guida e il sistema capitalistico ne ha fatto il suo punto di partenza. Questa gioia di vita è diventata fine a se stessa trasformandosi in una sorta di ubriacatura. Il mercato ha bisogno di Peter Pan, quindi lo alimenta costantemente.
La liturgia domenicale non potrebbe stimolare una partecipazione attiva attraverso un coinvolgimento alla preparazione della preghiera dei fedeli?
Certamente. Preghiera dei fedeli è un genitivo soggettivo, sono i fedeli che presentano le preghiere, invece è diventata preghiera sui fedeli… Attualmente questo il rito già lo permette, ma a volte, per inerzia e tante ragioni, si preferisce non impegnarsi in questo tipo di esperienza. Bisogna dire che la preghiera dei fedeli è uno spazio di straordinaria condivisione di vita, in cui la comunità sente tutte le parti insieme, sia quelle che hanno motivo di lodare, ringraziare Dio, sia quelle che hanno motivi di sofferenze e che chiedono l’aiuto di Dio per la loro esistenza.