Come interpretare la presenza e l’incisività dei cattolici nel dibattito pubblico, oggi, alla soglia delle elezioni regionali del 12/13 febbraio? Come ampliare la base dell’impegno sociopolitico, specie dei giovani? Questioni “calde” da sempre, sui quali la Consulta regionale della Pastorale sociale e del lavoro della Conferenza episcopale lombarda ha portato il proprio contributo, proponendo un’intervista ai 4 candidarti alla presidenza della Regione, sui temi sanità, lavoro, infrastrutture, casa, integrazione/inclusione (leggi qui).
«Mi pare che la maggioranza delle comunità, in vista delle amministrative, sia abbastanza coinvolta e attenta. Il fatto stesso che vi sia stata questa iniziativa, per sollecitare un confronto tra i candidati alla presidenza della Giunta regionale, è importante. Come cattolici sentiamo che questo è un servizio necessario che dice anche di un modo concreto di vivere la partecipazione», spiega padre Giuseppe Riggio, gesuita, direttore del mensile Aggiornamenti Sociali.
In questa logica, cosa si potrebbe fare per incentivare all’impegno “sul campo”?
È fondamentale creare luoghi dove le persone possano tornare a ritrovarsi, soprattutto dopo la pandemia, spazi dove possa esservi una dimensione creativa, laboratoriale, per radicarsi in quello che è il proprio territorio, affrontando le questioni vere ed elaborando proposte che possano essere eventualmente interessanti per ambiti più ampi. La Chiesa, che è capillarmente presente nel territorio della Lombardia – molto diversificato al proprio interno, basti pensare alla zona metropolitana di Milano rispetto nelle zone rurali delle valli – può offrire tale servizio fondamentale, creando in tutti questi contesti dei luoghi in cui si favoriscano l’ascolto, il dialogo e la riflessione sulle realtà locali e mettendoli in rete.
L’Arcivescovo sottolinea che talvolta i partiti politici si sovrappongono «in modo invadente e quasi soffocante alle tematiche più amministrative che sono invece di competenza e di responsabilità di chi governa la Regione». È così?
Questa è una tendenza in atto, ormai da alcuni anni, nel nostro Paese. Le elezioni amministrative e regionali, agli occhi dei partiti, molte volte sono un’occasione per testare la forza che ciascuna compagine esercita a livello nazionale. Ma ciò finisce per essere estremamente controproducente, perché appiattisce le consultazioni locali su quelle nazionali, che hanno finalità molto diverse da queste ultime. Le elezioni regionali non possono essere un banco di prova della maggioranza attualmente al governo o dei rapporti di forza tra i vari partiti. I cittadini capiscono tutto questo e, quindi, non ci si può sorprendere se si registra un abbassamento della partecipazione, perché è diffusa la sensazione che le questioni cruciali del territorio passino in secondo piano.
Affrontando il tema dell’inclusione e dell’immigrazione, i candidati hanno evidenziato il ruolo chiave della formazione al lavoro e anche all’essere cittadini. In questo contesto la Chiesa può fare molto con le sue articolazioni educative?
Sicuramente la formazione è uno dei temi-chiave per quello che concerne la crescita della consapevolezza del nostro ruolo all’interno della comunità civile. Questo vale tanto per i cittadini italiani quanto per quelli che hanno acquisito la cittadinanza venendo dall’estero o per quelli che si trovano nel nostro territorio come migranti, rappresentando una forza viva e importantissima nel nostro sistema sociale ed economico. Un investimento più consistente sulla formazione civica nel nostro Paese è una scelta strategica per l’avvenire.
Come inserirsi, da credenti, nel dibattito sulle politiche attive del lavoro che tanto hanno a che fare, oggi, con la costruzione del bene comune?
Le politiche attive sono fondamentali. C’è un dato che mi ha colpito: secondo alcuni studi, 7 su 10 dei piccoli che frequentano ora le scuole elementari, quando entreranno nel mondo dell’occupazione, faranno un lavoro che oggi non esiste. Occorre avere la capacità di pensare insieme il futuro e, per un tale obiettivo, è necessario impegnarsi e «metterci la faccia», come ha detto ancora l’Arcivescovo.
La presenza delle scuole di ispirazione cristiana può essere uno strumento per incidere maggiormente?
Tutto ciò che riguarda la cura dei più giovani è cruciale. La nostra scuola, compresa la scuola cattolica, si trova di fronte a tante sfide interessantissime che parlano di futuro. Ritengo che, in questo contesto come in molti altri in cui è in gioco la costruzione di una società più equa, occorra comprendere cosa significhi la rivoluzione digitale, sennò non si riesce a comunicare con le giovani generazioni.
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