«La Città metropolitana: sfide, contraddizioni, attese» è il titolo del Rapporto sulla Città Milano 2015, realizzato dalla Fondazione Culturale Ambrosianeum con il contributo di Fondazione Cariplo e edito da Franco Angeli, curato da Rosangela Lodigiani e presentato da Marco Garzonio, che l’hanno illustrato questa mattina presso la sede della Fondazione, in un incontro in cui sono intervenuti anche Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco di Milano, e don Gino Rigoldi, presidente dell’associazione Comunità Nuova Onlus. Ecco alcune evidenze messe in luce dal Rapporto.
Dal 1° gennaio 2015 la Città metropolitana è subentrata alla Provincia nel governo del territorio, ma il battesimo del nuovo ente è avvenuto sostanzialmente in sordina. Le ragioni di questa disattenzione collettiva, variamente attribuita alla presenza dell’Expo o a un interesse focalizzato sulla congiuntura socio-economica, sono in realtà da identificare in ragioni:
a) di contenuto: si è infatti posta l’attenzione sugli assetti amministrativi e istituzionali del nuovo ente, senza occuparsi del suo senso complessivo, ossia delle sue implicazioni sociali, culturali e simboliche. Un aspetto, questo, ben colto dal cardinale Scola nel tradizionale Discorso alla Città del dicembre 2014;
b) di scelte istituzionali: aver fatto coincidere i confini amministrativi della Città metropolitana con quelli dell’ex Provincia di Milano, e ancor più aver pensato la Città metropolitana come ente di secondo livello (con un sindaco insediato d’ufficio e organi di rappresentanza – Consiglio e Conferenza – frutto di elezioni “di secondo grado”), ha fatto della nuova entità un ente «debole» – come lo definisce Valerio Onida nel Rapporto – frenando la nascita di una “coscienza metropolitana”.
Solo l’attribuzione di maggiori poteri alla città metropolitana può rappresentare il punto di svolta, consentendo al nuovo Ente di affrontare gli squilibri economici, sociali, ambientali e di servizi che ne caratterizzano il territorio, e mettendo la Città metropolitana in condizione di sfidare Stato e Regione da un lato e i singoli Comuni dall’altro.
La Città metropolitana costituisce per Milano una grande sfida. Perché se il rischio, come evidenziato dall’intervista al poeta Franco Loi presente nel Rapporto, è quella di una “Babilonia” incapace di creare comunione e di riflettere sul proprio senso, la vera sfida, come scrive il presidente di Ambrosianeum Garzonio nella presentazione (significativamente intitolata «La Nuova Resistenza») consiste innanzitutto nel «ripensare l’idea di città nelle trasformazioni sociali epocali», implementando una «cultura del progetto» capace di coniugare, nella migliore tradizione ambrosiana, immaginazione e concretezza. Questo seguendo «linee di indirizzo precise: ritrovare il senso dello stare assieme; aggiornare modi condivisi di rappresentanza; individuare regole efficienti e trasparenti di gestione della cosa pubblica e di governo del territorio; recuperare senso e virtù civiche; perseguire autenticamente e con coraggio il bene comune». Perché, sottolinea Garzonio, «la nuova polis è a portata di mano. Pur fra tante prevedibili contraddizioni bisogna volerla con perseveranza».
Come sottolinea la curatrice, la sociologa Rosangela Lodigiani, il Rapporto identifica anche le cinque buone ragioni per guardare con interesse alla Città metropolitana:
a) costringe a riflettere sui fattori che definiscono un territorio, riconoscendolo come bene comune. Costringe a riflettere sul disaccoppiamento tra confini amministrativi e confini territoriali della Città metropolitana, e di conseguenza sul disaccoppiamento tra comunità e territorio, visto che le relazioni urbane, come ampiamente evidenziato dal Rapporto, si fondano su nessi funzionali e comunicativi più che spaziali e territoriali;
b) porta a ripensare la questione della governance dell’area metropolitana, declinando il principio di sussidiarietà lungo l’asse verticale (integrazione multilivello che parte dai Comuni e arriva alla Cee) e lungo l’asse orizzontale (cooperazione con attori non istituzionali, ma portatori di interessi);
c) implica un ripensamento sul sistema decisionale (che dev’essere policentrico, articolato e partecipativo) e sul metodo più consono alla governance della città metropolitana (che necessita di pratiche di “negoziazione deliberativa” accanto a una logica basata su “progetti bandiera” sperimentali);
d) obbliga a riflettere sulle forme di partecipazione degli attori in campo, visto che la strada da seguire è quella di uno “sperimentalismo democratico” che porta a vedere la città metropolitana come Civitas i cui protagonisti sono i cittadini, anche se il vero nodo resta quello di “includere e dare voce” agli attori in campo, specie i più deboli;
e) evidenzia come la vita urbana, che interessa più del 50% della popolazione mondiale, sia ormai archetipo della vita contemporanea, influenzando legami e identità collettive (emblematico il caso della Chiesa, come scrive monsignor Bressan nel Rapporto).
In sostanza, come sottolineano a una voce gli autori, il compito primario della Città metropolitana sta nel recuperare il senso e l’etimologia del termine metropolis “città madre”, in modo che questo senso risulti chiaro, e attraente, in primo luogo per i suoi cittadini.
Il dibattito
Questi alcuni dei temi messi a fuoco in sede di presentazione del Rapporto.
Marco Garzonio ha ricordato il «valore fondativo della riforma che ha portato alla Città metropolitana», ammettendo che «dal Rapporto Ambrosianeum esce l’immagine di una città schizofrenica» e citando il sindaco Pisapia (la Città metropolitana? «Una Ferrari senza benzina», aveva detto il Sindaco) a sostegno del fatto che «ancora una volta abbiamo fatto le riforme senza riuscire a cavarne le risorse necessarie». «Dal nostro punto di vista di Fondazione Culturale (l’anno prossimo compiremo 70 anni e siamo al 25° anno di Rapporto) – ha proseguito Garzonio – possiamo dire questo: l’anno prossimo si vota, e se fin da oggi non saranno collocati al centro dell’interesse i progetti e il governo di palazzo Marino e della Città metropolitana, vorrà dire che non si pensa né ai cittadini, né al futuro di Milano. La realtà è per certi versi drammatica, ma i problemi dei trasporti, della casa, della scuola e dell’immigrazione non si risolveranno se non si affronteranno le cose con serietà, evitando di cadere in interessi particolari e giochi di potere».
Rosangela Lodigiani ha esordito notando che «ciò che impedisce al tema della Città metropolitana di infiammare menti e cuori è il fatto che si è parlato soprattutto di assetti istituzionali, di risorse e di ruoli, poco del senso della nuova istituzione». In più, Lodigiani ha ricordato «le scelte istituzionali che hanno fatto della Città metropolitana un ente di secondo livello», attribuendo a entrambi i fattori la responsabilità di «aver frenato il formarsi di una coscienza metropolitana». «Il nuovo ente rappresenta davvero un’occasione?», si è chiesta ancora la sociologa. La risposta è assolutamente affermativa, in quanto la Città metropolitana, stando a Lodigiani, obbliga a riflettere su cinque temi di fondo: territorio, governance, sistema decisionale, forme di partecipazione e realtà metropolitana. «Il rischio, come dice Franco Loi nell’intervista contenuta nel Rapporto, è quello che la Città metropolitana diventi una Babele all’inseguimento di miti sbagliati – ha proseguito la curatrice del volume Ambrosianeum -. Perché questo non accada, al centro della riflessione vanno poste la cura delle relazioni e le implicazioni sociali e culturali, e non solo le dimensioni istituzionali o delle risorse. Soltanto così potremo colmare il vuoto d’interesse e dare un senso alla Città metropolitana, facendone una città madre positiva, generatrice ed eccedente, ovvero capace di rispondere ai bisogni della gente, e non un guscio vuoto di cui non sapremmo cosa fare».
Ada Lucia De Cesaris, affermando che «non costruiremo certo la Città metropolitana in due anni, forse ce ne vorranno 10 o 15», ha ribadito che «non si può evitare di fare i conti con la Città metropolitana se di futuro vogliamo parlare». Questo senza nascondere i problemi di natura istituzionale e organizzativa legati alla costruzione del nuovo ente: «Il problema della benzina posto dal sindaco è serio – ha affermato De Cesaris -, mentre la relazione della Città metropolitana con altri enti è, e resta vincolante». Tradotto: la questione, come evidenziato anche dal vicesindaco metropolitano Eugenio Comincini, è il rapporto della nuova istituzione con la Regione. «Oggi la Regione ha per norma costituzionale la competenza per dire chi fa cosa… Quindi può avere un ruolo pericoloso, facendo da sponda a interessi particolari, e azzerando in buona sostanza l’operato della città metropolitana» ha detto De Cesaris. Fuor di metafora: «Qualcuno dica alla Regione, che ha il potere, quali limiti ci sono nell’invadere le prerogative della Città metropolitana, che per entrare a regime ha ancora bisogno di tempo». Messi i puntini sulle i ai rapporti tra istituzioni, il vicesindaco ha proseguito annotando che «la Città metropolitana non può essere in nessun modo scritta a tavolino, ma nasce da esigenze, problemi ed esigenze di sviluppo provenienti dai territori». Con la precisazione che «occorre andare oltre gli interessi particolari». In che modo? Costruendo la Città metropolitana «a partire dai grandi temi». Eccoli: Trasporti, Welfare, Formazione, Parchi e territorio, Cultura e musei, ha enumerato il vicesindaco di Milano. E ancora Lavoro, Economia, Industria. «Dobbiamo creare un nuovo modello – ha concluso De Cesaris – in cui tutti i portatori di interessi pongano sul tavolo i loro grandi temi, mentre la regia dovrà essere politica».
Infine don Gino Rigoldi, parlando della Città metropolitana in termini di «sistema complesso che dev’essere costruito guardando a esigenze collettive e al riparo da individualismi locali» ha citato tre temi fondanti su cui il nuovo ente potrebbe realmente rispondere ai problemi dei cittadini: la Casa («mettere 80 metri quadrati a disposizione delle giovani coppie per 300 euro al mese di affitto è possibile, creando benessere e socialità»), la Formazione («il progetto Formazione Giovani, destinato a laureati e diplomati, è finanziato dall’Europa e dobbiamo riuscire a portarlo nei quartieri. Il problema più delicato è ottenere gli stage formativi a conclusione del progetto. Ma se il privato sociale ha messo a disposizione 1.000 stage, non dovrebbe essere difficile per Confindustria, Confesercenti, Confartigianato e altri metterne a disposizione molti di più. La mia paura è che i fondi tornino indietro»), la cultura: («non metto in dubbio la preparazione dei nostri insegnanti, ma qual è il modello educativo della scuola italiana? Fatti salvi i programmi ministeriali, non è importante solo cosa si insegna, ma come si insegna»). E ha concluso con una nota di ottimismo: «Certe cose sembrano impossibili a pensarle, ma diventano possibili a farle».