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Intervista

Kabobo e gli altri “fantasmi”,
non lasciamoli soli

La vita “a rischio” degli stranieri giunti in Italia a chiedere asilo politico nelle parole di Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana

di Cristina CONTI

20 Maggio 2013

Tre vittime e un ferito grave. È il drammatico bilancio della tragedia avvenuta nel quartiere Niguarda la scorsa settimana. La dinamica dell’evento continua a far discutere, mentre la paura di uscire di casa e la diffidenza nei confronti degli immigrati aumentano tra i cittadini.

Sono tanti gli stranieri che vengono in Italia a chiedere asilo politico. Persone che hanno vissuto lutti, distacchi, allontanamenti e deprivazioni. Uomini e donne che scappano perché sottoposti a violenze di ogni genere, arrivano nel nostro Paese in condizioni precarie e poi devono affrontare un lungo iter per vedere riconosciuti i propri diritti. «Quando si avvia la procedura per l’asilo politico, gli immigrati si trovano di fronte a meccanismi di riconoscimento e diniego, che non sempre sono accompagnati da politiche adeguate – spiega Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana -. Ognuno poi ha la sua storia personale, i suoi problemi. Ciascuno di loro avrebbe bisogno di intraprendere diversi percorsi per imparare la lingua, trovare un lavoro, avere una casa, diventare autonomo, iniziare una nuova vita. Ma le risorse non sono sufficienti per tutti».

Speranza di un futuro migliore, prospettive concrete di sopravvivenza in una realtà completamente diversa da quella in cui si è nati e cresciuti. Sono le condizioni fondamentali per sopportare l’improvviso cambiamento di vita che l’immigrazione comporta. E quando queste vengono a mancare è facile andare “fuori di testa”. Soprattutto se si è già fragili e si è scappati da una terra dove veniva negata ogni libertà. «Le situazioni di incertezza e precarietà portano a una forte instabilità psichica – continua Gualzetti -. Sono molte le persone che non riescono a reggere in questa situazione, in particolar modo, paradossalmente, si tratta di soggetti soli e che hanno difficoltà ad accedere a percorsi di inserimento».

Maggiori investimenti in persone, servizi e risorse: questa è l’unica strada per aumentare la sicurezza dei cittadini. La crisi economica, l’austerity, i tagli al bilancio, al welfare e agli enti locali non sono certo un aiuto per affrontare il problema. «Tutte le persone che incontriamo, come Caritas, sono a rischio», aggiunge Gualzetti. Se poi ci sono anche situazioni di dissociazione e psicosi, diventa davvero indispensabile dare loro anche un sostegno specialistico adeguato. «In questo periodo la mancanza di fondi ci impone di aiutare solo poche persone. Siamo costretti a fare una scelta e spesso, purtroppo, sono proprio i più fragili a rimanere soli. Per questo cerchiamo di tenere sempre agganciati i più vulnerabili: bisogna evitare in tutti i modi che le situazioni degenerino», conclude. Solo così, infatti, gli atti distruttivi contro di sé e gli altri si possono e si devono evitare.