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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Emergenza

«Non lasciamo soli i rom di via Novara»

L’intervento del direttore di Caritas Ambrosiana sul campo che sta per chiudere in vista dell’inizio dei lavori per l’Expo 2015: «Pronti a collaborare alla ricerca di una soluzione»

di don Roberto DAVANZO Direttore di Caritas Ambrosiana

20 Gennaio 2013
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Con l’ormai imminente inizio dei lavori infrastrutturali per l’Expo 2015 in via Novara, alla periferia ovest della città, sta per chiudere uno dei più vecchi campi rom autorizzati dal Comune di Milano. Realizzato, per decisione dell’amministrazione comunale, già nel lontano 2001 per dare ospitalità a rom kossovari e macedoni che la guerra dei Balcani aveva reso profughi, l’area è oggetto dal 2009 di un piano di smantellamento, voluto dall’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni.

Il programma è proseguito in questi anni tra alti e bassi, avanzamenti e retromarce. Ciononostante ha consentito alla Caritas Ambrosiana e al consorzio “Farsi prossimo”, in collaborazione con il Comune di Milano, di trovare una soluzione abitativa più dignitosa per la stragrande maggioranza degli ospiti. Attualmente 24 famiglie vivono in appartamenti: alcuni messi a disposizione dal privato sociale, altri dall’Aler, altri ancora trovati autonomamente dai rom stessi nel mercato delle locazioni private.

Fino al 31 luglio una convenzione con il Comune di Milano garantiva anche un accompagnamento delle famiglie del campo, nonché il sostegno per quelle ormai inserite negli appartamenti e comunque bisognose di un affiancamento rispetto al loro nuovo modo di abitare. Tale convenzione è scaduta e non sembrano esserci prospettive per una sua ripresa malgrado gli operatori di Caritas e del consorzio “Farsi prossimo” non abbiano mai smesso di stare accanto a queste persone. Soprattutto manca una prospettiva dignitosa per le quindici famiglie che dovranno lasciare il campo. Famiglie per lo più gravemente disagiate e incapaci di accedere in autonomia a soluzioni abitative alternative.

L’Expo si avvicina e con esso la necessità di preparare le necessarie infrastrutture. Che ne sarà delle quindici famiglie ancora presenti in via Novara? Che ne sarà delle altre famiglie già in appartamento, alle quali è necessario garantire un accompagnamento per favorire i loro percorsi?

Interrompere il lavoro d’integrazione condotto fino a qui, rischia di riportare la situazione dei rom paradossalmente più indietro rispetto al punto in cui si era cominciato. Fuori dal campo autorizzato dal Comune, difficilmente i rom che ancora vivono in via Novara torneranno nei paesi da cui sono venuti. Più facilmente resteranno in città e finiranno con accrescere il numero degli occupanti delle aree abusive che sono, solitamente, le più problematiche per la convivenza nei quartieri. Inoltre senza un prospettiva volta anche ad un inserimento meno precario nel mondo del lavoro, si troveranno presto in grossa difficoltà pure coloro che già stanno negli appartamenti. Che fare allora?

È compito dell’amministrazione comunale individuare le soluzioni. Da parte di Caritas Ambrosiana, come è dimostrato nei fatti, anche in questa particolare situazione, siamo pronti a collaborare. Ci permettiamo, tuttavia, sulla base della nostra conoscenza di suggerire qualche criterio generale che possa orientare il percorso futuro da portare avanti, con noi o senza di noi, per il bene dei rom e nell’interesse degli stessi milanesi. Perché, sia detto per inciso, dovrebbe ormai esser chiaro che Milano che lo desideri o no, con i rom deve convivere e chi, soprattutto in passato, ha fatto credere che si poteva eludere il problema con gli sgomberi muscolari, è stato smentito dai fatti.

Ma veniamo ai criteri. Primo: la responsabilità. Ogni percorso educativo richiede assunzioni di impegni precisi da una parte e dall’altra. Dunque, ogni futuro intervento sociale nei confronti di queste famiglie deve essere commisurato agli obiettivi che esse raggiungono. Secondo: diversificare. Non possiamo pensare ad una sola soluzione abitativa che vada bene per tutti i nuclei rom. Ci sono famiglie che sono pronte a vivere in appartamento, altre che non lo sono ancora, altre ancora che non lo saranno mai, perché troppo numerose, troppo legate a stili di vita comunitari, che mal si conciliano con il nostro. Terzo: tempi certi. Ogni percorso deve avere un inizio e una fine. La vaghezza determinata da annunci cui non seguono atti, mina la credibilità di qualsiasi progetto. Ci si dia, dunque, obiettivi realistici e scadenze da rispettare.