«Temo che sarà il nostro 11 settembre. Purtroppo credo che a livello europeo avrà un impatto simile. La percezione dell’islam, in parte con l’Isis e in parte con il nuovo romanzo di Michel Houellebecq “Sottomissione”, è monopolizzata dalle ali estreme e rischia di tirar fuori il peggio». Paolo Branca, islamista dell’Università cattolica e responsabile dei rapporti con l’Islam per la Diocesi di Milano, riflette sulla strage a Parigi nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo.
Professor Branca, un fatto gravissimo…
«Mi spiace essere così drastico, ma è un dramma enorme. Simbolicamente è stato veramente devastante, contro la redazione intera di un giornale che esprime molto lo spirito francese, particolarmente parigino, senza nessuna giustificazione, perché la vignetta era appena stata pubblicata e riguardava il califfo, nulla di sacro dal punto di vista religioso».
Alcune vignette in passato erano molto pesanti contro l’islam…
«Sì, criticabili anche. Però qui si è passato un limite, una linea rossa che temo favorirà molto tutto quello che di populista e di sciovinista sta venendo fuori in Europa, compreso la Francia».
Infatti è di questi giorni la notizia di manifestazioni anti-islamiche in Germania, di un fermento pericoloso in Europa che individua nell’islam l’obiettivo da attaccare…
«Si rischia di far passare un messaggio devastante, che è nichilista: sono le religioni che dovrebbero essere eliminate per un mondo più pacifico. Mentre è vero esattamente il contrario: le religioni hanno perduto o rischiano di perdere quella funzione anche etica e spirituale che hanno avuto per secoli e quindi sono facilmente o strumentalizzabili o banalizzabili fino a questi estremi».
Le comunità islamiche francesi hanno subito condannano pesantemente questo attentato, mettendo le mani avanti contro i rischi di alimentare l’odio e invitando a prendere le distanze dalla strumentalizzazione religiosa fatta anche da questi terroristi…
«È giusto, ma purtroppo non è sufficiente. Ci sono molti nodi che stanno emergendo e che non vengono risolti, come il giusto rapporto tra religione e politica nel mondo arabo-islamico e che stanno facendo un numero spaventoso di vittime innocenti. Non c’è una risposta chiara, per cui la condanna va bene, ma bisogna assumersi anche la responsabilità nel dipanare alcune ambiguità evidenti dalle quali non si riesce a uscire da un paio di secoli. Come studioso del mondo arabo-islamico posso dire che stanno venendo al pettine molti nodi che non sono mai stati sciolti».
La recente visita del Papa alla Moschea in Turchia e altre occasioni di dialogo rappresentano la strada giusta?
«Certamente. Questo è l’aspetto principale e sul quale non dovrebbe esserci nessun dubbio: i musulmani e tutte le persone che seguono qualsiasi religione meritano il nostro rispetto, ascolto e solidarietà. Non come ha detto anche Magdi Allam che non bisogna concedere pari dignità all’islam. Siamo arrivati a livelli che non credevo possibili, altro che politicamente corretto! Però a questo rispetto di fondo deve corrispondere un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, perché in nome delle religioni non possano più avvenire fatti di questo genere, che sia veramente un tabù poterli fare in nome della religione. Tutto questo è ancora da recuperare. Dobbiamo farlo certamente insieme, però è un sintomo della crisi profondissima di tutti, non solo dei musulmani. Ma in particolare del mondo islamico, dove non c’è una distinzione tra i due livelli che porta a forme di confusione che ha poi conseguenze di questo genere a danno soprattutto dei musulmani stessi. Quelli che muoiono tutti i giorni in Siria, in Iraq, in Libia, in Yemen, certo sono anche i cristiani, ma il maggior numero di vittime sono musulmani».
Uno scontro violentissimo nell’islam…
«È una specie di guerra civile all’interno dell’islam che però non trova giustificazione in nessun precedente storico. È stupefacente l’ignoranza di quello che è stato il califfato per secoli. Qualcuno può agitare questo mito e mobilitare una minoranza di pazzi, ma senza nessuna contestualizzazione. È come se io invocassi il ritorno di Carlo Magno. Qui farei ridere, altrove la cosa non è abbastanza evidente purtroppo».
Cosa si può fare nella realtà ambrosiana?
«Credo che si debba fare molto con i musulmani della strada, i vicini di casa. Sono 100 mila nell’area milanese, in maggioranza non fanno parte di gruppi organizzati, di sigle, di etichette e a volte vengono anche nei nostri oratori, frequentano le nostre scuole, ormai hanno la seconda e terza generazione con i quali si è investito un po’ poco. Ci sono stati molti incontri al vertice di pseudo-rappresentanti che si legittimano a vicenda. Mi pare che i tempi siano maturi per una svolta che faccia maturare il dialogo vero, che è quello tra le persone della vita quotidiana. Tutto il resto ha la sua importanza, ma incide molto relativamente».
Questo è l’antidoto per evitare il proliferare dell’estremismo…
«È l’unica ricetta, perché la realtà – per chi la conosce – ha già superato tanti steccati. Conoscendo moltissimi musulmani nell’area milanese potrei raccontare decine di casi in cui non c’è alcun problema di nessun genere nella convivenza pacifica e feconda. Ma non fanno notizia le buone notizie come si sa e poi, soprattutto, come tutte le cose richiede un investimento. Se investissimo in queste cose positive altrettanto di quanto investiamo in armi o in propaganda, che ci schiera gli uni contro gli altri, probabilmente emergerebbe una realtà più equilibrata e ragionevole. Ho paura che la rappresentazione della realtà stia nascondendo la realtà, distorcendola. Questo vale un po’ per tutto, al di là dell’islam: per la vita quotidiana anche del singolo cittadino italiano che nei media vede deformata la realtà nei suoi aspetti tra l’altro meno nobili e talvolta più effimeri».