Ct 2,17-3,1b.2; Sal 12(13);2Cor 4,18-5,9; Gv 14, 27-31a
«Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre». (Gv 14,31)
C’è la forte presenza di una mancanza nelle letture di oggi. L’ascensione è la conclusione glo riosa della parabola del Verbo: dal Padre al mondo, dal mondo al Padre. Ma in questa assenza la Chiesa, come Sposa, esprime tutto il desiderio di ricongiungersi all’Amato del suo cuore. Sia a livello comunitario che personale, come ben espresso dalla sposa del Cantico (figura di Israele e della Chiesa), che dalle parole di Paolo riguardo al destino individuale.
A questa attesa, a questa ansia di compimento, risponde Gesù lasciandoci la sua pace, diversa da quella del mondo. La sua pace, cioè il suo rapporto col Padre, sa passare attraverso il nostro inferno. La sua pace, che si fa inquietudine per noi, ha una forza smisurata d’amore. Si sottopone al principe di questo mondo pur essendo, quest’ultimo, sostanzialmente impotente di fronte a lui. Lo fa con uno scopo preciso: la necessità di far conoscere al mondo che il Figlio ama il Padre. Questa necessità ci legge in pro fondità: abbiamo un Padre che, amandoci dall’eternità, può essere riamato all’infinito. Con un Padre così non dobbiamo più vergognarci di essere creature, è possibile guarire.
Preghiamo col Salmo
Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
e non esultino i miei avversari se io vacillo.