Domenica II di Pasqua
At 4,8-24a; Sal 117(118); Col 2,8-15; Gv 20,19-31
“E’ in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”. (Col 2,9)
Giovanni non riporta l’incredulità verso le donne, come Marco e Luca, riporta invece l’incredulità di Tommaso (del collegio apostolico!) verso gli altri discepoli. Non è facile credere. Gesù non pretende la fede, bensì la desidera e la suscita. Di fatto Tommaso se ne uscirà con una professione di fede tra le più alte e chiamerà “mio Signore e mio Dio” il Risorto. Alla stessa altitudine si trova l’affermazione di Paolo: in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Davanti a Gesù di Nazareth troviamo una sorpresa che sorpassa l’inimmaginabile. Il tre volte santo (Is 6,3) nasce da donna (Gal 4,4) e viene ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). In nessun altro nome può esserci salvezza; la nostra salvezza è opera sua, è lui l’attore. La sua carne, crocifissa e risorta, è il pozzo da cui attingere all’infinito acqua di vita eterna. Il battesimo sacramentale, di cui dovremo rispondere, è via privilegiata di servizio e non criterio di esclusione. Chiunque avrà cura della carne del crocifisso, da lui sarà accolto quando si manifesterà Re dell’universo (Mt 25,31-46).
Preghiamo
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie.
Sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre
(dal salmo 117)