At 9,31-43; Sal 21(22); Gv 6,44-51
«… e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (Gv 6,51)
Non è una materia inerte quella di cui Gesù invita a nutrirsi. Non è neppure un talismano, o un oggetto sottoposto a magia, incantesimo, fattura. È una persona. È tutta la sua persona con la sua storia. Soprattutto nel suo momento più alto, o meglio innalzato. Corpo offerto, sangue versato. Non è cannibalismo poiché la vittima si offre da sé e non c’è rapina.
Non è sopraffazione della creatura sul creatore; non è celebrazione occulta della morte poiché quel corpo risorge, la morte non può trattenerlo. È il Padre che ci istruisce dicendo a ciascuno di noi: «Tu sei il mio figlio…».
Il Padre, che ci invita a fidarci di suo Figlio e ci chiede e ci offre di nutrirci di lui per diventare lui. Perché la sua vita, il suo cuore, i suoi desideri, pensieri, opere e parole siano in noi e noi in lui. Abbiamo rubato il frutto dall’albero proibito per diventare come Dio e rubargli il posto. Lui ha preso il nostro posto, sulla croce, e si offre a noi come cibo per la vita eterna. Perché siamo figli.
Preghiamo col Salmo
Io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».