O Chiave di David!
La liturgia ambrosiana elimina un’antifona maggiore, questa, prevedendo che sempre entro la novena un giorno viene sottratto al settenario delle ferie prenatalizie per essere dedicato alla celebrazione della sesta domenica d’avvento, e più precisamente alla solennità della divina maternità di Maria. Ma nella successione originaria delle antifone maggiori, il 20 dicembre prevede l’acclamazione a Cristo come “Chiave di Davide”. Così recita: “O Chiave di Davide, e scettro della casa d’Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: Vieni! E trai fuori colui che è incatenato dalla dimora carceraria, colui che siede nelle tenebre e nell’ombra della morte”.
Nel linguaggio biblico la chiave (che era un oggetto molto diverso delle nostre chiavi attuali, molto pesante e ingombrante) ha senso traslato, ed è simbolo dell’autorità. Dare le chiavi è delegare la autorità che si detiene. I due passi biblici più legati all’antifona gregoriana sono per la prima parte dell’antifona Is 22,22 e Ap 3, 7 (ma cfr. anche Mt 16, 19; Ap 1, 18), per la seconda parte Lc 1, 79. Nella cosmologia religiosa della Bibbia è soggiacente la concezione del mondo degl’inferi e del cielo di Dio come due realtà a cui si accede attraverso una porta chiusa a chiave.
Le chiavi di questi due accessi sono custodite da potenze angeliche, nel tempo intermedio. Ma l’autorità del Messia sarà tale che egli potrà aprire in modo definitivo il paradiso e chiudere in modo definitivo l’abisso degl’inferi. L’esperienza dell’uomo d’ogni tempo, bisognoso di salvezza, si identifica, secondo Lc 1, 79 con quella di un giacere a terra in un buio carcere, nell’attesa di essere liberati. L’icona della risurrezione di Cristo, secondo l’iconografia bizantina, rende bene l’immagine dell’Adam stretto in vincoli nel mondo vecchio e l’azione liberatrice di Gesù risorto.
Nell’antifona della quarta feria prenatalizia si esprime così l’anelito universale dell’umanità a essere gratuitamente liberata da un’esistenza dominata da molte schiavitù e dal buio; e tale liberazione la si invoca dal Figlio di Dio fatto uomo, Colui che in grazia della sua solidarietà d’amore con l’umano, assume in sé tutto il male e dischiude una sicura liberazione. Nella predicazione di Gesù, l’unica volta che egli si esprime con un’invettiva severa è appunto nei confronti di coloro che, detenendo un’autorità nel popolo di Dio, chiudono l’accesso alla conoscenza del mistero di Dio.
Questo è il potere iniquo, cui si contrappone l’autorità liberatrice di Colui che “è Santo e Verace, e possiede la chiave di Davide” (Ap 3, 7) cioè ha ricevuto dal Padre l’autorità regale su ogni luogo dell’umano. Egli apre il Regno, e le porte della città santa; dopo la sua azione liberatrice saranno sempre aperte, essendo sconfitte definitivamente le tenebre. Il medesimo anelito esprime l’antifona quinta, “O Oriens”, rivolta a quello che il profeta Daniele denomina come “Vir Oriens”, l’uomo-Oriente, la cui identità coincide con la forza di suscitare luce.