Si considera leggendario il racconto riportato in una passio del martirio di questi santi, artigiani della pietra, che l’imperatore Diocleziano avrebbe trovato nelle cave di marmo della Pannonia e che avrebbero lavorato per le sue costruzioni fino a quando, scoperta la loro fede cristiana, non furono gettati nel Danubio chiusi vivi in casse di piombo. Storicamente è accertato che nella zona detta in Comitatum, sita sulla via Labicana, erano sepolti e venerati, all’inizio del secolo IV, i quattro martiri Clemente, Simproniano, Claudio e Nicostrato. Per ragioni sconosciute ben presto il loro culto cadde in dimenticanza, ma non caddero nell’oblio i loro nomi che furono inseriti nei martirologi storici. Nella prima metà del secolo VI a Roma una basilica sul Celio fu denominata dei Santi Quattro Coronati, forse per la deposizione di reliquie rappresentative in occasione delle dedicazione, avvenuta l’8 novembre. E poiché anche il martirio dei quattro martiri della via Labicana cadeva in questa data si è ritenuto che le reliquie usate per quella dedicazione appartenessero ai martiri sepolti in Comitatum, che, in mancanza di notizie sicure, furono genericamente chiamati ‘Quattro Coronati’. Ma la loro memoria perdura come ci è tramandata dalla leggenda; i Quattro Coronati sono considerati infatti per antica tradizione, protettori degli artisti e rimane incisa in molte opere di grande valore; basti ricordare tra tutte il Gruppo dei Quattro Coronati di Nanni di Banco a Or San Michele in Firenze.
Nella chiesa metropolitana oggi si fa memoria di sant’Aurelio, vescovo di una non identificata sede episcopale di Redigione (forse in Armenia), il quale, venuto a Milano vi morì nel 475, il giorno in cui si ricordava la morte di san Dionigi, accanto alla cui tomba fu sepolto. Una leggenda parla di rapporti di amicizia di san Dionigi con sant’Aurelio, al tempo in cui Dionigi fu esiliato dall’imperatore Costanzo, fautore dell’eresia ariana, a Redicione in Armenia. Quando Dionigi morì, Aurelio avrebbe riportato la sua salma a Milano e, fermatosi nella città, di cui era allora vescovo sant’Ambrogio, vi sarebbe morto. Ma l’iscrizione sepolcrale sulla tomba di sant’Aurelio attesta come frutto di devota fantasia questo racconto, essendo la sua morte avvenuta cento anni dopo quella di san Dionigi.
Oggi si ricorda anche Elisabetta della Trinità, monaca carmelitana, morta l’8 novembre 1906 appena ventiseienne. Nei suoi Ritiri, scritti poco prima di morire, ha lasciato la testimonianza della sua appassionata esperienza di inabitazione nel suo cuore della Santissima Trinità.