«Stiamo cambiando, la Chiesa sta cambiando, ma non stiamo morendo. Siamo vivi di una vita che non è nostra, ma che è gioia invincibile, siamo ardenti di una speranza che non è un nostro proposito, ma una grazia senza prezzo, siamo accompagnati da un’amicizia che non è solo un sentimento e un conforto, ma una comunione che incoraggia ogni passo, ogni cammino, la piccola decisione di una regola di vita e la grande decisione di una vita per una missione nuova. Ci raduniamo intorno a papa Francesco, a tutti i missionari, quelli che partono e quelli che arrivano qui, intorno ai giovani, per essere il popolo che offre all’Europa e al mondo il proprio messaggio di pace».
Un invito per tutti
In un Duomo finalmente gremito anche nelle navate laterali, dove tanti ragazzi siedono a terra, le parole piene di forza e di speranza che l’Arcivescovo scandisce, durante la Veglia missionaria che si celebra unitamente alla Redditio Symboli, sono un invito per tutti. Per chi parte per la terra di missione, come per chi arriva in terra ambrosiana, per chi consegna la Regola di vita, come per chi sta già vivendo la propria.
Una scelta nuova, quella di sperimentare insieme questi due tradizionali momenti diocesani, che vuole avere il senso di un’inedita occasione per promuovere tra i giovani la sensibilità missionaria, aiutando tutti i credenti a riconoscersi, secondo il suggerimento di papa Francesco, «Profeti, testimoni, missionari del Signore».
I gesti
Un obiettivo, questo, che anche solo a un primo sguardo al Duomo e, poi, nello svolgersi della Veglia, appare pienamente riuscito, con il ritrovarsi gioioso di un’intera Chiesa, nelle sue tante componenti, e con i molti gesti che ne esemplificano la fede.
Oltre all’Arcivescovo sono presenti il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, i membri del Consiglio Episcopale Milanese – tra cui i due vicari di settore, monsignor Luca Bressan per la Missione e don Mario Antonelli per la Pastorale giovanile, con i responsabili dei rispettivi Uffici e Servizi diocesani, don Maurizio Zago e don Marco Fusi. Il Rito si apre presso il battistero di San Carlo, con la benedizione dell’acqua, attraverso cui viene aspersa l’assemblea, e con il rinnovo delle promesse battesimali.
Poi, le letture, accompagnate da brani del messaggio del Papa per la Giornata Missionaria Mondiale 2022 (leggi qui), la testimonianza della 18enne Marta che spera di portare la fede anche ai suoi tanti coetanei che non credono – «non per essere migliore o opportunista, ma per compiere gratuitamente opere buone» -, la preghiera, i silenzi, i canti trascinanti, eseguiti da par loro dai Cori Shekinah ed Elikya, e la simbolica costruzione di un grande volto di Cristo sull’altare maggiore, mentre circa 400 19enni consegnano la loro Regola, circondati dai 18-30enni.
Dopo la testimonianza di monsignor Paolo Martinelli – dal 2 luglio ad Abu Dhabi quale vicario apostolico dell’Arabia meridionale -, si continua con il mandato e la consegna del crocifisso ai 16 partenti per i quattro angoli della terra (qui l’elenco completo): sacerdoti, suore e laici fidei donum (cinque preti e una coppia di sposi con il loro bimbo Agostino, di un anno, in partenza per Gerusalemme – leggi qui) e provenienti da altre realtà. Tredici, invece, coloro che, per motivi di studio, pastorale e cura, sono arrivati in Diocesi, a cui l’Arcivescovo consegna la sua Proposta pastorale per l’Anno in corso: tra loro anche due sacerdoti ucraini.
Insomma, quel volto di Chiesa dalle genti che la nostra Chiesa ambrosiana vuole essere, ed è già nel concreto, a cui si rivolge, direttamente la riflessione dell’Arcivescovo (leggi qui).
Intorno al Papa, nella Chiesa che cambia
«Ma non vi sentite un po’ strani, voi che avete preso coraggio e avete scritto la vostra regola di vita. Ma non è più normale una vita sregolata, senza né capo né coda, senza comandamenti né dover rendere conto a qualcuno? Ma non vi sentite un poco strani, voi che avete deciso l’azzardo di lasciare abitudini consolidate, condizioni rassicuranti, rapporti gratificanti e ora partite per Paesi stranieri, condizioni disagiate, lingue difficili?», dice l’Arcivescovo, offrendo un’immaginaria (ma molto probabile risposta). «Sì ci sentiamo strani, parliamo un linguaggio incomprensibile ai nostri coetanei e agli stessi nostri familiari, ma il fatto è che siamo stati chiamati per essere profezia, per essere segno, per essere seminatori della Parola che cerca una terra in cui germogliare e portare frutto». «Siamo missione», come dice il Papa in Evangelii Gaudium.
E riprende così la sorta di provocazione a cui il Vescovo dà voce con le espressioni che ognuno forse ha detto, o perlomeno pensato, almeno una volta: «Ma non vi sentite un po’ un anacronismo, gente d’altri tempi, voi che partite in nome di un messaggio vecchio di 2000 anni? Non vi sentite dei sopravvissuti, un poco patetici, voi che vi dedicate al gesto minimo della carità, dell’educazione alla preghiera di un gruppo di ragazzini in un oratorio di Milano o di una favela del Brasile, mentre il mercato, con la sua invadenza inarrestabile, pervade ogni angolo del mondo per vendere prodotti per il corpo per far dimenticare l’anima?».
Da qui l’invito a comprendere il cambiamento, anche se ci sente «circondati da una specie di compatimento, da un diffuso scetticismo, considerando che eravamo tanti e ora siamo pochi, eravamo popolari e ora siamo sospetti, eravamo importanti e ora siamo ritenuti insignificanti. Il fatto è che tutto cambia, tutto è cambiato nel modo di vivere e di pensare da quel primo mattino di Pasqua, eppure non c’è altro nome sotto il cielo in cui si possa avere salvezza».
La responsabilità di non tacere
Poi, l’affondo: «Ma non vi sentite troppo sognatori, uomini e donne che credete ancora alle favole, voi che vi professate fratelli di popoli sconosciuti e dichiarate i vostri buoni propositi in un tempo in cui l’avidità e la prepotenza, la corruzione e l’egoismo dominano i rapporti tra le persone, tra le tribù, tra le nazioni? Non vi sembra che i vostri buoni sentimenti siano insignificanti per un contesto in cui contano i soldi, i numeri, i tiranni?».
Sognatori, forse sì, ma certo di quei sogni per cui lavorare, perché fanno il mondo migliore: «Il fatto è che noi leggiamo le pagine dei disastri della storia e, tra le grida e i gemiti, tra le parole dell’arroganza e le proclamazioni dei prepotenti, ci giunge e ci commuove una voce discreta, tragica e splendida che percorre i secoli e continua a generare speranza. Ci parla il sangue dei martiri, della sapienza dei saggi, del fascino dell’umanesimo cristiano. Il fatto è che di fronte alla guerra noi non possiamo tacere il messaggio della fraternità universale, di fronte all’ingiustizia, noi non possiamo tacere la parola di Dio che stringe alleanza con le vittime e chiama a conversione l’ingiusto, di fronte ai sentimenti ostili e alle azioni spietate noi non possiamo trattenerci dal praticare la misericordia. Non possiamo rassegnarci al silenzio, all’inerzia, alla viltà. Perciò i missionari partono, perciò i giovani si mettono in cammino verso Lisbona: siamo, infatti, alla ricerca della verità, anche quando la confusione e il politicamente corretto sembrano modi più moderni di pensare, siamo assetati di giustizia, anche quando sembra che troppa gente anteponga il proprio interesse alla giustizia, siamo testimoni di misericordia, anche quando troppa gente si difende con l’indifferenza dalla compassione. Sentiamo la responsabilità di tenere vive, nella storia dell’umanità, cammini di pace, giustizia e misericordia. Siamo fieri di resistere, essendo disposti a pagare di persona».
La sintesi del Festival
Tre le parole proposte come sintesi del Festival della Missione, “Vivere per-dono”, svoltosi a Milano dal 29 settembre al 2 ottobre scorsi. «Giovinezza, missione, pace» (vai allo speciale).
«Ci raduniamo intorno a papa Francesco per essere il popolo che offre all’Europa e al mondo il proprio messaggio: siamo giovani, ci impegniamo con una regola di vita a un passo da compiere; siamo missione, siamo profezia; siamo costruttori di pace, perché cerchiamo la verità, siamo assetati di giustizia, pratichiamo la misericordia».
E prima della benedizione finale e dell’uscita dal Duomo – alle cui porte si raccolgono le offerte, frutto del digiuno serale, che serviranno per un gesto di solidarietà – ancora un appello accorato del vescovo Mario: «Mi giunge notizia dal Ciad che alcune manifestazioni siano finite in un massacro. Chi porterà la benedizione in Ucraina, in tante parti del mondo dove vi sono guerre che non sappiamo nemmeno che esistono e che causano stragi? Invoco per voi la benedizione di Dio: vi invito a portarla dove il Signore chiama».
La testimonianza di monsignor Martinelli
Così come ha chiamato monsignor Paolo Martinelli, che porta il suo videomessaggio durante la Veglia e che viene salutato dalla sua Diocesi di origine (leggi qui il testo). Anche lui, per volere del Papa, ora alla guida di una Chiesa dalle genti, come vicario apostolico in Arabia meridionale. Realtà di circa un milione di fedeli distribuiti in tre Stati – gli Emirati arabi uniti, l’Oman e il martoriato Yemen -, con una maggioranza di fedeli provenienti dalle Filippine, India, ma anche dal Libano, Sri Lanka, Europa, Africa e America Latina e con una composizione multietnica che si rispecchia anche nel clero.
«La nostra è una Chiesa di Migranti e di forte minoranza, trovandoci in un Paese profondamente segnato dall’Islam, ma servire una Chiesa così poliedrica è bellissimo», sottolinea monsignor Martinelli (vedi qui il video) che ringrazia: «È stato davvero affascinante vivere questi otto anni a Milano come vescovo ausiliare, come vicario per la Vita consacrata, per la Pastorale nella scuola e come coordinatore del Consiglio pastorale diocesano e del Consiglio presbiterale. Da qui attingo a piene mani forza e intelligenza per vivere la mia nuova missione nell’Arabia meridionale. O, come dice papa Francesco, per essere una missione in questo mondo. A tutti i giovani dico: non abbiate paura di lasciarvi affascinare da Cristo, di lasciarvi afferrare e inviare da Lui. In ogni missione è nascosta una promessa di una nuova esperienza di Dio e dell’umano».
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