In Bocconi (dalle ore 18.00 alle ore 19.30 di martedì 5 marzo 2019) si terrà un incontro per parlare di Europa: interverrà il nostro Arcivescovo, Mons. Mario Delpini. Di seguito alcuni spunti di riflessione.
«Il vero problema del Mezzogiorno è la mezzanotte». Lo diceva un tempo Ennio Flaiano, lamentandosi della cappa di noia che calava sulle città del Sud dopo una certa ora della sera. Il vero problema dell’Europa è la mezzanotte, si potrebbe parafrasare oggi. C’è il linguaggio del giorno, quello dei trattati e dei protocolli d’intesa, della razionalità fredda dei grafici e dei conti. E poi c’è la dimensione notturna, fatta di sogni e di paure, di desiderio e di passione.
Che è pure di ciascuno di noi – chi non ha una dimensione notturna? – e della nostra società in questo tempo reso incerto e fragile dalle tante crisi: economiche anzitutto, quindi sociali e infine politiche.
Sfidando un’equazione solidissima: Europa = noia, sbadigli, disinteresse, ultimamente fastidio alimentato da una certa retorica populista, abbiamo chiesto all’Arcivescovo, Mons. Mario Delpini, un incontro, che si terrà presso l’Aula Magna dell’Università Bocconi (via Gobbi, 5) martedì, 5 marzo 2019, dalle ore 18.00 alle ore 19.30, per parlare di… Europa! (per tutte le informazioni cliccare qui).
Ci prepareremo dialogando su “Europa: uno spazio privilegiato della speranza umana” (Dal Preambolo della Costituzione europea) con il Presidente Mario Monti in occasione di un appuntamento in programma alle ore 20.45 di lunedì 25 febbraio 2019 a Milano (via Santa Sofia, 17): per tutte le informazioni cliccare qui.
Mica siamo matti, speriamo neppure noiosi, di sicuro non masochisti. Ma intuiamo che l’Europa merita una narrazione SERIA, diversa da quella mainstream. E la Chiesa, perdonate la quasi auto-citazione, propone idee lucidissime ed esigenti sull’argomento (leggete Sognare l’Europa di papa Francesco e Milano e il futuro dell’Europa del cardinale Scola per farvi un’idea).
Ma perché l’Europa proprio non riesce ad essere POPolare? Domanda cruciale, anche perché senza il POP arriva il POPulismo.
L’Europa, per come la conosciamo, è una formidabile costruzione fondata sulla razionalità diurna. Il più grande edificio politico mai realizzato in tempi di pace, in punta di diritto, tra gli uffici squallidi del vecchio Berlaymont (“Un importante edificio istituzionale di Bruxelles. Vi ha sede la Commissione europea”, recita Wikipedia), foderato di amianto e le cancellerie malinconiche di antiche potenze ridotte al rango di parchi a tema. Un miracolo di visione che ha camminato per decenni sulle spalle di uomini vestiti di grigio e di marrone (colori noiosi, ovviamente), che costruivano poco a poco l’Unione a furia di direttive sulla pesca sportiva e di regolamenti sui fermenti lattici. Erano tutt’altro che sprovveduti, gli uomini e le donne che hanno intessuto la trama sempre più fitta degli interessi burocratici comuni. (Se volete sapere come sono andate le cose, e come potrebbero andare in futuro, vi proponiamo Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa di Sergio Fabbrini). Parlavano il linguaggio diurno della tecnocrazia perché era l’unico che conoscevano, ma anche perché sapevano che l’altro, quello notturno dei sogni e delle passioni, rischiava di risvegliare i vecchi fantasmi europei: le culture, le identità e le nazioni che già troppe volte avevano condotto i popoli alla guerra e il continente alla rovina. (Sulla questione dell’identità non mancate di leggere proprio Identità di Adriano Prosperi).
Il risultato l’abbiamo sotto gli occhi. Una macchina poderosa ma senz’anima che s’inceppa a ogni imprevisto come il solito elefante dei cartoni animati messo in fuga dal topolino – che si tratti della Grecia o della crisi dei rifugiati. Laddove a colpire non è tanto – o non solo – l’ignavia dei governanti, quanto l’indifferenza dei popoli (a questo punto non si può rinunciare al bellissimo romanzo La Capitale di Robert Menasse).
Pare che a questa Europa non voglia bene proprio nessuno. Neppure le generazioni cresciute a colpi di Interrail e di Erasmus, dalle quali pure sarebbe stato legittimo aspettarsi una punta di gratitudine in più.
Si fa presto a dare la colpa ai politici e ai tecnocrati. Ma la verità è che il deficit emotivo della costruzione europea non è imputabile solo a loro. Al contrario, lo si è detto: quelli tutto sommato avevano le loro buone ragioni per tenersi alla larga dalla dimensione notturna. Bene o male, ciò che dovevano fare l’hanno fatto. Se io adesso scendo sotto casa e mi metto in macchina, posso guidare ininterrottamente per 2.700 chilometri fino a Tallinn senza mai attraversare una frontiera che sia una, né cambiare moneta. Ogni tanto posso anche telefonare agli amici per raccontare il mio viaggio e non spendere un centesimo in più di quando li chiamo per organizzare la serata. Questo è merito degli uomini vestiti di grigio e di marrone. Ed è un fatto. Concreto, eppure strabiliante, se ci pensate bene.
Il problema è che intorno a questo fatto non c’è uno straccio di mitologia. Se fossimo in America ci avrebbero già costruito su un’epopea. In Europa proprio non ci riusciamo. Né Guerre stellari, né supereroi, né Jay-Z, né Clint Eastwood, né Lady Gaga, né House of Cards (tranne gli inglesi, che qualche James Bond e qualche Harry Potter di tanto in tanto lo tirano fuori ma loro, come si sa, con l’Europa c’entrano fino a un certo punto. Anzi, per niente ormai. Vedi alla voce Brexit, sempre su Wikipedia). Tant’è vero che si contano sulle punte delle dita i casi di fenomeni culturali che, nati in un Paese dell’Unione, riescono a diffondersi su tutto il continente. Anziché costruire una cultura europea contemporanea e popolare ci accontentiamo dell’Eurovisione della canzone. Un po’ pochino, no?
L’unico problema è che chi non riesce a produrre pop è condannato al populismo. Se la cultura europea non riesce a produrre miti unificanti, sui quali fondare una comunità che vada al di là della semplice razionalità diurna, gli istinti tribali sono destinati a riemergere non appena sopraggiunge il crepuscolo. Tra il vuoto pneumatico dei dibattiti sull’identità europea e sulle appartenenze etniche e nazionali, non è difficile intuire chi sia votato a prevalere in tempi di crisi (è un mezzo spoiler ma, se volete, una risposta la trovate in Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie di Marc Lazar e Ilvo Diamanti).
Mentre scriveva il Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli redigeva alcune note più confidenziali: «C’è un linguaggio notturno – scriveva il teorico dell’Europa federale. Non è un ragionamento che si spiega alla luce del sole e si articola chiaro e comprensibile a tutti (…). Per parlare con sicurezza la lingua diurna bisogna conoscere quella della notte, ma pensar la notte, cioè nell’ora del contatto panico, del distacco dalla propria particolare personalità e dalla propria sorte – pensare la notte con il linguaggio del giorno, significa sbagliare ogni meditazione, sforzarsi di conservarsi quando invece bisogna perdersi» (questo testo è preso da Il linguaggio notturno di Altiero Spinelli). Se mai decideremo di prendere sul serio l’ideale solare dell’Europa unita non ci basterà riscrivere il Manifesto di Ventotene: dovremo prima ritrovare la strada di questa sapienza notturna.
Date le premesse, qui sotto non trovare nulla di POP che riguardi l’Europa, ma di serio sì, come avevamo annunciato. Serio è diverso da serioso. Serio è rigoroso, preciso ma anche appassionato…notturno!
Sono proposte di lettura (alcune hanno intramezzato la nostra riflessione), per tentare di capire di più e meglio l’Europa. Se siete arrivati a leggere fin qui abbiamo speranza che continuerete almeno con uno dei titoli che vi suggeriamo. Buona lettura!
Marc Lazar – Ilvo Diamanti
Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie
Laterza – 176 pagine
Altiero Spinelli
Il linguaggio notturno
Il melangolo – 175 pagine
Sergio Fabbrini
Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa
Laterza – 193 pagine
Mario Monti – Sylie Goulard
La democrazia in Europa
Rizzoli – 216 pagine
AA.VV.
Europee. Dieci donne che hanno fatto l’Europa
Textus Edizioni – 295 pagine
Adriano Prosperi
Identità. L’altra faccia della storia
Laterza – 105 pagine
Robert Menasse
La Capitale
Sellerio – 445 pagine
Francesco
Sognare l’Europa
EDB – 55 pagine
Angelo Scola
Milano e il futuro dell’Europa
Centro Ambrosiano – 64 pagine